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Il giovanotto recò l'albo di Fiordispina nella sua camera, in quella camera dove aveva passata la prima notte del suo dolce esilio alle falde del monte Cimone.

Poca cosa, il giardino, non essendo la stagione ancora molto inoltrata. Quella primavera, il Cimone aveva raccorciato, ma non buttato via, il suo mantello di neve, e le notti delle Vaie erano ancora freddine, ma accanto al giardino scarno si vedeva la stufa, e questa era piena di vasi d'ogni grandezza, disposti in ordine, a scaglioni, tra cui si poteva passare comodamente, ammirando una bella variet

Così la tirannide si spegneva, o rimetteva della sua ferocia in quegli alpestri confini. Il monte Cimone non conosceva impiegati ducali, e i suoi echi potevano liberamente ripetere le note degli inni patriottici. Il conte Gino gustò molto quella musica.

Il biglietto del conte Gino alla marchesa Polissena diceva brevemente così: «Saprete il caso che mi è toccato. Mi mandano a confine in Querciola, alle falde del Cimone, fuor del consorzio dei viventi... peggio ancora, lontano da Voi. Ne perderò la ragione; non mi parr

Erano le cinque dopo il meriggio, quando egli giunse a Fiumalbo, e salutò la petrosa balza del Cimone, tinta di rosso dai raggi obliqui del sole, che andava a nascondersi dietro l'Alpe di San Pellegrino. Capitolo II. I re della montagna. Il Monte Cimone, alle cui falde era confinato il conte Gino Malatesti, è la più alta vetta dell'Appennino centrale.

Don Pietro, capitato sull'ora del caffè, domandò perchè non si fosse ancora pensato a fare qualche bella gita nei dintorni, al monte Cimone, al Cimoncino, a Bismantova, all'alpe di San Pellegrino. E il lago della Ninfa! Perchè non si andava a visitare il lago della Ninfa, per vedere la bella dai capegli biondi, tramutata in sasso?

Ammirato, affascinato dalla bellezza, dalla grazia del fiorellino silvestre, Gino Malatesti poteva dirsi guarito. E ripensando alla marchesa Polissena, dopo due mesi di vita alle falde del Cimone, poteva ragionare tranquillamente sul modo in cui ella si era diportata con lui, per conchiudere filosoficamente in questa forma: Era l'abitudine, la sola abitudine che ci teneva legati. Non la nostra volont

Il cugino Ruggero, l'Ercole adolescente, era partito per sempre; era un pretendente fallito, un'ombra dileguata. Ed anche per Gino Malatesti un'ombra era passata, alle falde del Cimone, ma per andarsi a dileguare nella val di Nievole.

C'è dell'altro? interruppe Fiordispina. Sicuro, perchè la cerchia s'allarga ancora; rispose Gino. Intorno a Lei, ai suoi parenti, alla, casa, ci sono le Vaie, c'è questa convalle così verde e così fresca, con le sue belle boscaglie, le sue cascate cristalline, il suo stupendo Cimone che fa la guardia lassù. Signorina, conchiuse il giovane, tutto ciò che la circonda è bello; sar

Per altro, pensandoci bene, era stato un grande amore, quello della marchesa Polissena! E un grande rammarico era stato il suo, per l'esilio di Gino Malatesti da Modena! Bel modo, poi, di passargli daccanto, senza fermarsi mezz'ora, senza pur chiedere se fosse morto o vivo! Vedete un po' che strano contrasto, e un mese dopo i più terribili ardori, dopo i più solenni giuramenti di un amore eterno! Si sa, di eterno non c'è che la nostra sciocchezza, nel mondo; ma si vorrebbe almeno che certi aggettivi, come sono usati sinceramente, a significare la forza della passione, così non fossero dimenticati troppo presto. Non si salvano dunque neppure le apparenze? Morta la virtù, non c'è neanche più ipocrisia? Ecco qua la bella e ardente Polissena della fuga di Torino, che passava tranquillamente in vettura di posta da Pievepelago, vedendo lassù, dalla parte del Cimone, biancheggiare a mezza costa le case di Querciola, e non aveva nemmeno un pensiero per il povero confinato. Un servitore della signora marchesa poteva avere in tasca una lettera per Gino Malatesti, e ricordarsi di consegnarla a qualcheduno, che gliela facesse ricapitare. Lei, frattanto, passava di l