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Aggiornato: 17 maggio 2025
Si figuri!... Basta la parola!... E così dicendo alzò il bicchierino. Alla sua salute, signor Trebeschi. Poi volle toccare anche con Giacomino, e lì, nell'angolo buio del caffè, bevendo il vermouth, il signor Daniele firmò la cambiale. Il signor Facchinetti la cacciò subito nel suo portafoglio, col danaro degli interessi, e andandosene in fretta e furia, dimenticò persino di pagare il vermouth.
No, no, non ho più nulla a dire. Scusate, Teresita, io non son più degno di accostarmi a una donna.... Si ritira qualche passo per andar via. Non andate in collera per quello che vi ho detto. Vi domando scusa se vi ho offeso. Sedetevi, ragioniamo. Accettate almeno un bicchierino di vermouth.... Toglie da uno stipo una bottiglia di cristallo e offre un bicchierino a Nicolò. NICOL
Allora il Facchinetti cambiò tono, diventò garbatissimo, si profuse in complimenti, in scappellate, fece entrare i due signori nel caffè, e li condusse a un tavolino in un angolo oscuro. Cameriere! vermouth! No... no... Mi faranno la cortesia di accettare il vermouth. No; no... grazie balbettava il signor Daniele. Prego, prego; senza complimenti; sediamo. È sempre mio buon padrone.
Spìcciati, tartaruga, ché ò fretta: ti offro il vermouth al Bar, e spero non vorrai darmi il dispiacere d'un rifiuto: devo pranzar presto, se voglio arrivare in tempo a prender moglie. Ah! sicuro, oggi prendi moglie! Non me ne ricordavo più, esclamò stupefatto il commendatore, accelerando il passo; in tal caso non voglio darti altro dispiacere: ti seguo.
Ma forse continuò la giovane signora a lei non piace il thè? Nel suo bel paese a quest'ora si prende il vermouth, o l'assenzio, non è vero? Così dicendo gli porgeva una tazza di thè, col capo un po' indietro e i ricciolini negli occhi. Oh, signora! disse Aldo. Ma ciò che ricevo qui, da una così bella mano, è nettare! Tutte le americane sorrisero, approvando.
Dal terrazzo, vestito, tutto pronto, cavando l'orologio nella penombra della luna tramontata e del giorno che sorgeva, vidi aprirsi una ad una le case dei contadini. Nell'albergo, dormivano ancora. Pure, sapendo che col treno delle sei e mezzo aspettavo mia moglie, si alzarono. Mi nascosi, vergognandomi di farmi vedere così premuroso. Ma dalla finestra, vedevo sempre la stazione, che s'era svegliata anche lei. Sotto la porta, un facchino si stirava le braccia. Uscii, non ne potevo più. Nel crepuscolo mattinale la serva spazzava, in basso, la stanza da pranzo. Le dissi che andavo a passeggiare. Sorrise. Non capii quel sorriso. Ero inebetito. Come l'ora si appressava, cresceva in me la sicurezza che non sarebbe venuta. Non viene, non viene mormoravo. Me ne andai sulla via maestra, parallela alla via ferroviaria. Andavo incontro al treno, come un pazzo, come un bambino. Poi la via maestra faceva un gomito; tornai indietro, alla stazione. Presi una tazza di caffè, poi un vermouth nel piccolo caffè, parlai col padrone. Era l'alba, ma grigia. Forse il sole non sarebbe uscito, forse essa non sarebbe venuta. Anzi era certo che non veniva. Aspettavo per scrupolo di coscienza, quasi per dovere. Avrei potuto andarmene, perchè non veniva. D'un tratto odo un debole fischio, un suono di campanella, mi precipito fuori, in tempo per vedere un treno nero, bagnato d'umidit
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