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Aggiornato: 4 giugno 2025
Così fu licenziato l'oratore persiano col dono di 300 zecchini, perocchè non parve al Consiglio dei X di rompere la pace testè firmata colla Turchia, mentre le agitazioni della Persia e la instabilit
Son tali, che m'hanno scemato gran parte dell'amor che li portava; e se mi son mai pentito di cosa mal fatta, mi son pentito di averlo mandato in Turchia a riscattar la sorella, perché ho comprato il mio male, e, per ricovrar la figlia, ho perduto i danari, la figlia, il figlio e me stesso, per il dispiacer che mi dánno. TRINCA. In Turchia è usanza.
Oh quanto mi sei or cara viva, poiché tanto t'ho pianta morta? ché, avendo mandato il mio figlio in Turchia col riscatto, mi riferí ch'eravate morta. Piaccia a Dio s'allonghi tanto la vita mia, che faccia a te quella servitú che per mia cagione hai fatta a quei cani.
Gli estranei, no, perché il principe non può loro comandare che ricevano quelle monete ad altro prezzo che a quello che vorranno essi, mentre non sono suoi sudditi: ed io non discorro qui di monete da spendersi solo in paesi d'altri, come furono i temini sparsi da' cristiani in Turchia, di cui si parlò sopra nel capitolo decimoterzo, perché in quel caso è chiaro che il danno va addosso a quelli; ma parlo delle monete da spendersi nel proprio paese del principe proprio e ne' paesi confinanti.
I tedeschi chiamati in Italia non furono moltissimi: l'Italia non è la Turchia, non è la Grecia, non è nemmeno l'America; e il piú elementare sentimento estetico rendeva insopportabile un professore che veniva a raccontarci i fasti di Roma, balbettando e deturpando la lingua di Dante. Non furono moltissimi, ma non furono nemmeno tanto pochi. Per rimanere solamente nel campo degli studî letterarî, ci fu un tempo in cui lo straniero che fosse venuto nella dolce Italia a studiare antichit
Vi sono dei luoghi ove le donne debbono a sè stesse di non mettere il piede. Se io mi avessi saputo come la serata doveva terminare, non avrei accettato l'invito dell'ambasciadore di Turchia. Gli è dunque quel pagano che vi
Ed Antonio Erizzo ritornato da Costantinopoli nel 1557, narrando i particolari della guerra turco-persiana finita colla pace di Amasia nel 1555, considerava il manifesto pericolo che dalla parte della Persia sovrastava alla Turchia, ed il mal animo del gransignore contro quel re, del quale avrebbe voluto più presto la rovina che di qualsivoglia altro, ancorchè cristiano.
PEDOLITRO. Fatela calar, ché mi piace che non troverete altro di quel che vi dico: che Costanza vostra moglie è viva, e di Cleria non si sa novella. CLERIA. Padre, che comandate? PARDO. Costui è venuto da Turchia... PARDO.
Egli aveva bello chiamarsi Pradau, come si era chiamato di cento altri nomi in Russia, in Polonia, in Austria, in Turchia, in Italia. Egli aveva bello azzeccarsi delle basette troppo scure, dei capelli neri con una cresta a mo' di Luigi Filippo, a bellettarsi come il famoso duca di Brunswick... Egli non si sottrarr
Non si voleva a nessun patto abbandonare la Turchia, vincolata da un'antica amicizia, introdotta per la prima volta dalla Francia nella cerchia degli stati europei; si subodorava l'intendimento della politica grecofila della Russia, che lo czar Alessandro davanti al principe Lieven aveva compendiato in una parola: il me faut une Grèce!
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