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Aggiornato: 16 settembre 2025
«Male accorto che siete! egli è il più tristo che illumini il sole: uccisore del suo fratello, mortale nemico mio.» E in questo punto Rogiero gli narrò le cose avvenute, quelle che disegnava operare, e alla fine delle sue parole interrogò: «Che parvene? è egli uomo da amarsi costui?»
Guai a chi non piega «l'anima innanzi a lei; però che tristo «egli l'essere suo nega, e rinnega «il suo divin maestro Gesù Cristo: «Gesù che, fatto carne, in su la croce «morì ne la montagna solitaria, «Gesù che, fatto carne, ebbe in Samaria «verso la donna così mite voce,
O Forca, ti veggia alzato in mezzo due forche che arrivino insin al cielo! o che Dio ti dia la mala ventura! DOTTORE. Tu l'hai avuta giá. Ma perché non cominci il lamento sopra i cinquecento ducati? Il lamento fallo sopra di te: che tu l'hai perduti, che colpa n'ho io? MANGONE. Son piú misero di quanti uomini sono stati o saranno o sono. O tristo me! DOTTORE. Anzi, me! MANGONE. Son rovinato.
Ricoglietele a piè del tristo ciesto, Io fui della citt
Il mio cavallo si azzoppì nelle montagne dell'Elvezia, e dovetti restare quindici giorni per farlo guarire. Ecco tutto. Pel nome santo di Dio! e voi curate più un tristo di ronzino, che l'adempimento dei nostri ordini, messere?
Ed elli a noi: «O anime che giunte siete a veder lo strazio disonesto c’ha le mie fronde sì da me disgiunte, raccoglietele al piè del tristo cesto. I’ fui de la citt
S’ïo avessi le rime aspre e chiocce, come si converrebbe al tristo buco sovra ’l qual pontan tutte l’altre rocce, io premerei di mio concetto il suco più pienamente; ma perch’ io non l’abbo, non sanza tema a dicer mi conduco; ché non è impresa da pigliare a gabbo discriver fondo a tutto l’universo, né da lingua che chiami mamma o babbo.
Seppi però dominarmi, o almeno il credetti, poichè tu mi dici che il segreto periglioso mi scappò pure dalle labbra. Ora non se ne parli più. Fu un momento d'aberrazione che con molte lagrime ho pianto poi; fu una colpa che di pena terribile ho pagata. Non se ne parli più, e guai, Alberada, guai a te, guai a colui cui questo tristo segreto fosse svelato.
Qualche volta gli veniva dietro il cagnuolo bruno, tristo come lui: qualche volta un suo fanciullo scempio, un poverino che cercava tutto il dì i ghiaiotti che gli piacessero e non li trovava mai. Néto taceva.
Ognuna in giu` tenea volta la faccia; da bocca il freddo, e da li occhi il cor tristo tra lor testimonianza si procaccia. Quand'io m'ebbi dintorno alquanto visto, volsimi a' piedi, e vidi due si` stretti, che 'l pel del capo avieno insieme misto. <<Ditemi, voi che si` strignete i petti>>, diss'io, <<chi siete?>>. E quei piegaro i colli; e poi ch'ebber li visi a me eretti,
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