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Aggiornato: 20 maggio 2025


Il duca di Balbek, avendo il senso morale obliterato, non divenne ebete. Perocchè d'ordinario questo stato di spirito è il risultato dell'eretismo della coscienza quando non v'è lesione organica materiale che lo determina. Il duca riconobbe dunque immediatamente la mano che aveva potuto sottrarre il suo portafogli violetto dal suo stipetto. Ei ve lo aveva visto due giorni innanzi.

Camera modesta, quasi povera, in disordine. Poche suppellettili tra cui un attaccapanni, una tavola, uno stipetto basso, seggiole stranamente diverse. Sull’attaccapanni, soltanto una sottana bianca. Sulla tavola, un tovagliolo mezzo aggrovigliato e alcune bucce di frutta. Sopra una seggiola, un paio di stivalettini attillati.

Ed Adriano rubò le carte. Il fatto gli pesava... Era inevitabile! Non si commettono però simili intraprese col cuore calmo e gaio. La ragione pertanto zittiva l'istinto. Infine, per distrarlo, Vitaliana sopraggiunse. Ella lo condusse, senza dir motto, dritto dritto nella camera di suo marito, e gli mostrò lo stipetto di ebano ed oro.

Un braccio di donna Nena fuori della coperta era steso rigidamente verso di lui, la mano pareva indicasse. Fatto sta che, occupate a rovistare per la celletta, curiosando dappertutto, nei foderi di un canterano che gemevano come se nascondessero l'anima della vecchia, in un baule nello stipetto o muro, le vicine dimenticarono il bambino.

Ora: siete voi che avete aperto uno stipetto a capo del mio letto, e che ne avete tolto un taccuino di velluto violetto, con delle carte di Stato? Sissignore! gridò Adriano, levandosi. Conchiudete. Ah! voi lo confessate dunque? borbottò il duca, tremando di collera. Siete voi dunque che avete rubate le mie carte!

Adriano si accostò allora allo stipetto e ne considerò la toppa esterna. Si cacciò poscia le mani in tasca e ne cavò fuori due o tre mazzi di chiavi, di ogni sorta, cui aveva imprestato dal suo magnano. Ne scelse una e la provò nel buco della toppa. Il buco era troppo piccolo. Ne prese un'altra, poi una terza, poi una quarta. La quinta infine girò, ed il coverchio del mobile si aperse.

Io mi accostai allo stipetto, toccai le lettere che componevano il nome, ed una tavoletta rientrò, lasciando in vista un tiratoio. Il duca conservava quivi i suoi crachats, i suoi gioielli, i suoi danari, delle cedole di Banca. Un sacchetto in velluto violetto attirò i miei sguardi. Lo presi. Egli me lo strappò di mano, dicendo: Sono quivi delle carte di mia madre.

Sullo stipetto, piatti, bicchieri, forchette, cucchiai, coltelli, qualche bottiglia, qualche vaso di creta. In fondo, una porta senza battenti che lascia vedere una saletta e l’uscio di scala. Accanto a questa porta, una seggiola. A destra, un’altra porta. A sinistra, una finestra. ANGIOLINA e PORTINAIO.

Poscia, senz'altre parole, lo condusse seco ad uno stipetto; aprì questo stipo, ne tirò fuori un cassettino e mostrò in esso ad Antonio il tesoro di sei napoleoni d'oro. Eccoti il mio peculio, diss'egli. In altra occasione ti direi: piglialo, gli è tuo; ma siccome a questo tempo ho ancor io qualche spesetta, non posso che dirti: dividiamo per met

Il cuore di Adriano battè con violenza. Ascoltò di nuovo gli strepiti della casa. Nulla di allarmante! Scartò allora la tavoletta che copriva il quadrante, e vide le lettere azzurre sullo smalto bianco sorridere alla sua bramosia. Toccò le lettere, componendo il nome di Bianca. Lo stipetto si aprì, e mostrò il taccuino di velluto violetto. La mano di Adriano trema. Lo prende. Ascolta ancora.

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