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È violenta e triste la prima impressione che si risente discendendo dalla grande Roma piena di luce e di vita in quel freddo cimitero sotterraneo, dove sulla morte è anche ora passata la devastazione, e dove si vedon congiunti tutti i più tetri aspetti d'una cava, d'una grotta e d'una carcere. E si va innanzi a malincuore, nell'odore umido della terra, diffidando del suolo ineguale, e pensando con inquietudine che, se il frate sparisse, si perderebbe la lena alla corsa, e forse il lume della ragione, prima di ritrovare l'uscita. Ma, a poco a poco, quel labirinto di anditi angusti, quelle fughe di buche sepolcrali nereggianti nelle pareti come grandi bocche semiaperte, quei piccoli vani per gli uffizi del culto, dove i fedeli stavan raggruppati e stretti, come quando aspettavan nei circhi l'irruzione delle belve, attirano e soggiogano tutti i vostri pensieri. Se vi resta ancora un pensiero profano, cede anche questo alla vista della prima ampolla incastrata nel tufo, nella quale siete spinti a cercare le tracce del sangue che vi fu racchiuso, e quasi un ultimo fremito della vita che fuggì con esso dalle vene del martire, o svanisce alla prima lettura di una di quelle iscrizioni semplici e rozze: «Pax tecum», con accanto un nome di battesimo, che non vi par di leggere, ma d'udir profferire intorno a voi dalla voce sommessa di chi ha amato e sepolto chi lo portava. Il frate si soffermava a quando a quando per rischiarare la cripta di una famiglia, di cui è scomparso ogni avanzo, o nomi di pellegrini d'altri secoli incisi nelle pietre, o una grata sottile, dietro la quale, fra poche ossa biancheggianti, ci fissavano due occhiaie profonde, con quello sguardo immobile da mille e ottocento anni, che par che aspetti con fede invincibile l'adempimento d'una promessa. Ma più che altro ci arrestavamo a quelle buche mortuarie dei bambini, così strette, da parere che neanche un piccolo cadavere potesse entrarvi, se non spinto dentro a forza come un corpo ancora vivente e ribelle alla sepoltura. Ah, pure sono i bambini quelli che vi prendono al cuore, quei poveri piccoli cristiani messi a dormire l'un sull'altro, ammucchiati, quasi schiacciati, oppressi anche nella morte dalla terra, come eran stati nella vita dal terrore, e così lontani dalla luce del giorno e dal verde dei campi, rimpiattati, più che sepolti, come carne maledetta. E col sorgere della piet

può l'animo mio sofferire di vedere quelli cavalcare con tanta pompa e compagnia, quanta mai non si vide in Campidoglio ne gli vittoriosi trionfi de li romani, nel tempo che avevano in mano il freno e 'l governo de tutte le provincie e de le genti barbare, le quali di in soggiogano i nostri dolci paesi, togliendoci oggi una cittá e domani l'altra, ed or questo castello ed or quell'altro, e temo che in brieve non ci togliano le persone.