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Aggiornato: 23 ottobre 2025
E ripensai il titolo dell'annunziato libro di Filippo Arborio: Turris eburnea. I dubbii mi si affollarono nello spirito. Si trattava d'un riscontro puramente casuale con l'appellativo della nota dedica? O lo scrittore aveva inteso creare un personaggio letterario a simiglianza di Giuliana Hermil, narrare la sua avventura recente? E di nuovo la torturante interrogazione mi si ripresentò.
Un grande scrittore, che in gioventù non aveva avuto a lodarsi troppo delle signore donne, e che perciò non usava trattarle co' guanti, mi diceva: «Quando ho da dipingere una donna, piglio due soldi di biacca, uno di cinabro, uno di giallo di cromes, un pizzico di terra d'ombra, un altro di nerofumo, e non ci fo mica altra spesa; cinque o sei pennellate, e mi sbrigo». Lo diceva, s'intende; ma poi non lo faceva.
Mentre la carrozza attraversava i quartieri popolari, arrestandosi tratto tratto per l'ingombro dei tram, delle automobili, dei legni, dei carri, dei veicoli d'ogni sorta, Perez cominciò a parlare delle sue occupazioni letterarie. Scrittore di commedie prima che insegnante di lettere greche, egli adempiva con tutta coscienza l'ufficio scolastico; ma più che la cattedra lo attirava il palcoscenico, dove aveva raccolto e raccoglieva ancora i premî più ambiti. Quanti ammiravano in lui l'artista geniale, l'arguto dipintore dei costumi contemporanei, non riuscivano a spiegarsi come egli potesse essere anche un dotto cultore delle classiche discipline; in realt
Ma a gran pezza più splendide dei doppieri, e più belle dei fiori, erano le gentildonne genovesi, che portano il vanto della bellezza su tutte le donne del mondo (ogni scrittore o cortigiano d'altro paese potr
Alla fine capii di che si trattava. Erano gemme tolte alle corone dello Stuart Mill e dello Spencer e incastonate nella mota. Gli imbecilli incompresi nei loro discorsi fanno come quel povero scrittore, che aspirava alla gloria, senza aver diritto neppure a mangiare il pane quotidiano del senso comune. L'imbecille incompreso e furbo possiede un'altra astuzia.
Non era un bello scrittore, ma l'amarezza, il fiele che lo rodevano, lo spingevano a raccogliere tutte le voci che potevano recar disdoro a qualche personalit
Lettor, giacché Marfisa è fatta santa, io non ho cor d'ucciderla altrimenti, ché il buon esempio è una bella pianta da non tagliar, s'è specchio a malviventi; e perché eternamente non si canta per non seccar le natiche alle genti, e perché pur sgonfiata ho la zampogna, fo punto e attendo il plauso o la vergogna. LO SCRITTORE DELLA «MARFISA» a' suoi lettori umanissimi
Il duca studiava ancor molto perchè nessuno potesse prenderlo in fallo. Era fra gli ammiratori più appassionati di Machiavelli, scrittore allora recente. Quello storico, quel politico, che insegna ricorrere ad ogni mezzo quando può condurre allo scopo, doveva piacer molto al duca. Di tali massime egli era convintissimo; ne aveva dato una prova nella condotta tenuta verso i parenti spogliati.
Bastano questi soli dati, anche transigendo dai meriti eminenti dei citati lavori, per riconoscere nel Ferrari un vasto intelletto di pensatore, di scrittore e d'artista. L'ultimo lavoro di Paolo Ferrari deroga molto da questi dritti principii.
Altrove lo scrittore paragona le ore convulsive della storia alle tempeste del mare: «La gente viene dal fondo delle pianure, accorre sulla spiaggia, guarda dall'alto delle ripide rive, aspetta qualche cosa, interroga gli enormi cavalloni con una specie di curiosit
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