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DON RODORICO. Olá! ordinate che Leccardo sia libero. Ma mi par oggimai tempo che questi felici sposi e amanti dopo tanti travagli colgano il desiato frutto degli disperati loro amori. Entriamo. DON FLAMINIO. Ma ecco Panimbolo. PANIMBOLO. Padrone, che allegrezza è la vostra? DON FLAMINIO. È tanta che non basto dirla.

DON IGNAZIO. D'ingannatore e di traditore! DON FLAMINIO. Don Ignazio, se, mentre siamo vissuti insieme, t'ho fatto altro inganno e tradimento fuor di questo, veramente son un ingannatore e traditore; se questo, che ho fatto per amore, si ha da chiamar «tradimento», diffiniamolo con l'armi. DON RODORICO. Don Flaminio, tu parli troppo liberamente e fuor de' termini.

DON RODORICO. Caro figliuolo, non sapevo l'animo vostro: ho avuto pietá della sua vita come una imagine della vostra; e stimava che a questo vostro fratello, ancorché fusse vostra moglie, per compiacergli glie l'avessi concessa. DON IGNAZIO. Il voler tôr a e dar ad altri mi par cosa fuor de' termini dell'onesto.

DON RODORICO. Or, poiché tutti i travagli han sortito lieto fine, ordinisi un banchetto reale per le nozze e corte bandita per dieci giorni per tutt'i gentiluomini e gentildonne di questa cittá, acciò un publico dolore si converti in una publica allegrezza.

EUFRANONE. Alzatevi, signor don Flaminio, ché la vostra soverchia creanza non facci me malcreato: ardisco abbracciarvi perché me lo comandate. DON IGNAZIO. Intendo, signor don Rodorico, che per accomodar il fallo di don Flaminio l'avete ammogliato con l'altra sorella.

DON RODORICO. Io per non partirmi dalle leggi del giusto e per non veder la disperazion di tuo fratello, mi è paruto accomodarlo in tal modo. DON IGNAZIO. Ma non vuol la legge del giusto che per accomodar uno si scomodi un altro. DON RODORICO. A chi ho fatto pregiudizio io? DON IGNAZIO. A me, a cui la rimasta sorella si convenia per piú legittime ragioni. DON RODORICO. Per che ragioni?

DON RODORICO. Veramente mi son assai maravigliato, essendo spettatore d'un crudel abbattimento di dui per altro valorosi e degni cavalieri; ma or che veggio tanta bellezza in Carizia e cosí ancor stimo la sorella, gli escuso e non gl'incolpo, e giudico che l'immenso Iddio governi queste cose con secreta e certa legge de fati, e che molto prima abbi ordinato che succedano questi gravi disordini, accioché cosí degna coppia di sorelle si accoppino con degno paro di fratelli, che par l'abbi fatti nascere per congiungerli insieme.