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Aggiornato: 21 giugno 2025


Torno adesso dalla Pretura. Mio Dio! Come mi spaventa il mondo reale, il mondo della prosa, dei bisogni, degli affari. E mi chiudo nel mio studiolo: apro il mobiletto.... Oh mondo delle mie illusioni, della mia poesia, del mio cuore! Come mi sento felice!

Esse ascendono in folla al richiamo, turbinano davanti a noi come le anime dolenti nel tenebroso vento che Dante ideò, e Voi tutte le riconoscete al viso, alle vesti, alle attitudini, perchè i loro nomi di gloria vi sono familiari. Io non so come si ardisca insegnare alle turbe in prosa e in rima che la visione artistica del dolore ha origini cristiane, che procede dalla glorificazione di un infame strumento di tortura e di morte, che l'arte antica fu solo una fioritura di bellezza serena e di gioia. Voi tutti sapete che non è vero. Altro che armoniose membra di Veneri caste e di efebi divini, altro che placide maest

Sovvenendomi che questa prosa non era che la parafrasi di quattro distici di Voltaire, ammirai il buon senso mostrato dagli antichi legislatori dell'isola nell'aver fatto tesoro di un così savio precetto.

Lo si vedeva andare in su e in giù, rasente le brande, colla grammatica sotto gli occhielli scintillanti, o chiusa con l'indice tra le pagine, con la sinistra sul collo della destra o cogli occhi che vagolavano per il soffitto come quelli dell'inspirato o dell'uomo che manda versi o prosa a memoria.

Dell'amor divino; rispose Albertina, a cui la domanda era rivolta. Non hai sentito, quando l'annunziava? No, mi ero forse distratta.... pensando a tutte l'altre belle cose che aveva finito di dire. La predica dell'amor divino fu un inno in prosa, e frammezzato di versi. Quel diavolo d'un frate ci aveva quel giorno tutti testi profani.

Quanta eloquenza in quelle rughe, e quanto Dolore in quella bocca senz'accento! Vi si leggevan vergognose doglie, E forse orrende malcelate impronte D'anni passati tra rimorsi ed onte Ebrezze trangugiate e morte voglie. Nella moderna ed acre poesia Di quella strada pazza e fragorosa, Quale contrasto nella orribìl prosa Del misero che soffre e non desìa!

Abbiamo un profondo schifo del teatro contemporaneo (versi, prosa e musica) perchè ondeggia stupidamente fra la ricostruzione storica (zibaldone o plagio) e la riproduzione fotografica della nostra vita quotidiana; teatro minuzioso, lento, analitico e diluito, degno tutt'al più dell'et

Che dalla ruota e dal martel cadente, Mentre soffre l’acciar colpi ed offese, E più fino diventa e più lucente⁶⁹. ⁶⁹ Palermo, Gagliani, 1798. Ogni nuova compagnia di prosa o di musica che giungesse era un avvenimento che suscitava nuovi ardori nell’animo dei nostri giovanotti.

Che scena, sor Ghetano mio, che scena! Li portorno via morti, poveracci! Sur sangue ce buttorno un po' de rena, E poi vennero fora li pajacci. Fanno ar Quirino 'na tragedia in prosa Che si la vedi, fio, te fa terrore. Er fatto è quasi uguale ar «Trovatore», Ma er fatto proprio, è tutta un'antra cosa. C'è er prim'omo ch'è l'asso!

Poi vennero i discorsi musicali. La Contessa era nervosa; voleva che le opere si musicassero su libretti in prosa. La poesia era una puerilit

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