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Aggiornato: 6 giugno 2025
Tali considerazioni mi conducono alla conseguenza d'esser possibile nel mondo, non so per quanto tempo ancora, certi governi mostruosi, come quello del Borbone che la tempesta rivoluzionaria del 60 rovesciò nella polve e la peste pretina compimento delle miserie e delle degradazioni umane.
Direte che aveva istinti polizieschi... Ebbene, sì! Non arrossiva di confessare che qualche volta aveva seguito, per settimane, per mesi, le peste d'un intrigo amoroso e di persone che conosceva appena di vista, unicamente perchè un gesto, un'occhiata gli avevano fatto scorgere che sotto l'apparente indifferenza esse tramavano chi sa che cosa meritevole di essere scoperta.
NARTICOFORO. Ascolta, che non so come puoi tu vivere senza saper questo. GERASTO. Seguite la cagion della peste. NARTICOFORO. Alfin, per giungerlo, gli dico che mi facci copia di veder quella sua figlia che aveva; e mi disse che avea commutato la vita con la morte. GERASTO. Perché non vi facesti mostrar quella sua figlia appestata?
MARTEBELLONIO. Che battaglie, miserello? LECCARDO. La Fame era una persona viva, macra, sottile, ch'appena avea l'ossa e la pelle; e soleva andar in compagnia con la Carestia, con la Peste e con la Guerra, ché n'uccideva piú ella che non le spade.
GERASTO. Certo costui non può essere uomo da bene, perché vien meno della sua parola. Ma che ragioni assegna egli? NARTICOFORO. Dice che medicando agli Incurabili s'attaccò la peste, ed egli l'ha attaccata a sua figlia nelle parti pudibonde e l'ha tutta guasta, che non vi è rimasto segno del sesso; e che a lui gli è venuta da dietro o stomacali o peste, che è tutto rovinato.
TRASIMACO. Perché sparlar tanto di questo poveretto? che li venghi la peste alla lingua! TRINCA.
Solo alcune code¹ e neri, peste dell'umana famiglia, adocchiavano furtivamente lo spettacolo da dietro i vetri delle finestre, e si ritraevano cauti, tementi di contaminare gli occhi loro da rettili arrestandoli nelle franche e maschie fisonomie di cotesti nemici della menzogna e del despotismo, oppure tementi che il popolo, conscio delle loro scelleragini, non li scovasse e li precipitasse sul lastrico.
Il Fornaretto fu replicato più sere al teatro Carcano, dove la compagnia del Modena aveva trapiantate le sue tende d'inverno. La parte del vecchio padre, piena di mestizia e di piagnistei, non era di quelle che più convenissero al genio tragico del Modena; ma anche qui l'attore proteiforme ebbe lampi sublimi, e in qualche punto fece piangere gli spettatori. Il Giacomo Mora del Ceroni non destò il medesimo interesse. Il pubblico lo ascoltò con diffidenza, quasi con isgomento. Il lugubre ambiente della peste, gli squallori, gli orrori di quell'epoca maledetta dai morbi, dalla brutale ignoranza dei volghi e dalla atrocit
Dodone, Orlando e Rinaldo, ch'è giunto da Montalban per questa concorrenza, vanno con Angelin debile e spento, facendolo star sempre in riverenza, e fanno uffizi, e stanno forti al punto del sigillo Angelin non resti senza, dicendo: Se qualcun gli niega il voto, s'aspetti guerra e peste e terremoto. Da tutte parti gli uffizi infiammavano per quello di Bellanda e pel guascone.
PANURGO. I giorni a dietro, medicando lo spedale degli Incurabili, o fusse l'aria infetta di quel luogo o qualche occulta specie di peste, come tengo ben fermo, mi prese tutto e mi venne un spedal di malattie adosso.
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