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Per un paio d'ore il nostro giovinotto ebbe tregua. Era presente il padrone di casa, e le leggi della ospitalit

La vecchia Dorotea, la quale, fin dal principio, quando s'accorse che l'abatino non volle prendere da lei l'imbeccata, come le sarebbe tornato acconcio, non parlavagli mai, se non per mortificarlo o dirgli villania, quel , punta dalla voglia di saper come e perchè mai il padrone non fosse tornato ancora, entrò nella saletta, col pretesto di metter ordine a qualche cosa; e cominciò a stuzzicar con mezze parole il giovine Celso, il quale, sprofondato nella sua lettura, non le badava punto poco.

Il padrone di casa, un bell'uomo, ancora giovane, dall'aspetto severo, ma dai modi singolarmente cortesi, si mostrò dolentissimo di non poterci accompagnare, per sue ragioni di famiglia, che lo chiamavano quel giorno in paese. Ringraziammo, accettando le guide che egli aveva messe a nostra disposizione, e ci avviammo su per un bosco di cerri, al dorso sassoso del Cimone.

Ebbene? chiese Guido, che se ne era accorto. Chieggo scusa al signor padrone.... volevo dire.... Purchè tu lo dica presto. Il signor padrone ricorda che giorno è questo? No, Giuseppe, no. Oggi è il suo compleanno.... Ah! fece soltanto Guido, la cui fronte si rannuvolò. Altre volte.... ai tempi di qualcun altro.... in questo giorno eran fiori dappertutto....

Chi ha cuore e braccio, è sempre padrone della sua parte a questo mondo: rispose con voce animosa Damiano. E chi ha amore per i suoi, trova sempre un po' di bene a fare: soggiunse con una ingenuit

Padrone, son tante pignatte intorno al fuoco, tanti pottaggi, tanti savoretti, tanti intengoli, spedonate di starne, di tordi, di piccioni, capretti, capponi lessi, arrosto e miramessi, guazzini, pasticci, torte che, s'egli aspettasse il carnovale o la corte di Roma tutta, gli bastarebbe. FRULLA. Hai tu bevuto? STRAGUALCIA. E che vini!

Poco anzi mi promettesti con giuramenti non volermi piú maltrattare, e or mi volevi uccidere: questo è altro che bastonate: sempre sète l'istesso e ogni giorno siamo al medesimo. Sará meglio per me tornare i danari al padrone. PIRINO. Perché farmi stentare a saperlo? non me lo potevi dir subito? Perdonami, fratello, fratellino mio dolce.

Il cocchiere usciva prudentemente dal suo nascondiglio, andava a chiamare il figlio del padrone, e lo conduceva a vedere lo spettacolo del cugino sdraiato in terra come un maiale.

Il signor Nicolazzo. Rosina, che era ad ascoltare, interruppe vivamente. Nicolazzo!... , ... non mi sbaglio, questo è il nome che il padrone di casa dava a quel brutto signore che è venuto qui pochi giorni sono, e che rimase incantato innanzi a questo ritratto.

Una volta stavo a Fenis in Val d’Aosta per cercare e copiare le scritture murali del castello. L’oste del paese discorreva volentieri e mostrava di saperla lunga. Lo domandai degli antichi signori. Mi rispose con molta sicurezza che il Castello era appartenuto al duca di Borgogna. Rimasi. La Valle d’Aosta appartenne realmente al primo ed al secondo reame di Borgogna, ma fino dal secolo XI passò ai Conti di Savoja più mutò padrone. Fenis poi, era feudo dei signori di Challant; il castello fu edificato da un Aimone di Challant verso il 1350, più uscì della famiglia finchè questa non andò estinta sul principio del secolo corrente. Tutta la vita castellana del castello di Fenis appartenne dunque alla Casa di Challant, spenta la quale, il castello decadde in cascinale ed il padrone, di signore in semplice proprietario. Come mai la remota dominazione borgognona aveva potuto far scordare la recente signoria dei Challant, e la perdurante sovranit