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Aggiornato: 28 maggio 2025
Il general Fanti prima, oggi Della Rovere, lavorano a questo intento. Esso vuole una marina potente: gli è ciò che il conte di Cavour e poi il suo successore Menabrea mirano a fare senza tamburo e senza trombette. Il terzo partito darebbe inoltre un grande slancio alla mobilizzazione delle milizie nazionali.
Invano il Governo, esitante, incerto, pauroso, s'argomentò di frenare tanto impeto. Invano Rattazzi, sulle prime trascinato nel movimento, procurò poi resistere, sicchè, travolto da quella audacia portentosa, dovette ritirarsi. Invano la reazione, capitanata dal nuovo ministero Menabrea, ubbidì al cenno delle Tuileries con dichiarare fuori della legge i combattenti nell'Agro romano.
Si gridava: «Abbasso il Ministero Menabrea! Vogliamo Crispi, e andare avanti!» Si desiderava una guerra colla Francia: «Vogliamo Roma, capitale d'Italia! Viva Garibaldi! Viva l'esercito italiano in Campidoglio!» Le truppe mantenevano l'ordine. Severi comandi furon trasmessi ai confini per disarmare le bande e cacciarle nell'interno.
Il generale Menabrea era riuscito a raccapezzare un ministero reazionario della più pura acqua e il 27 ottobre, appunto il giorno dopo e quasi a dispetto della vittoria di Monterotondo, annunziando la formazione del suo ministero faceva pubblicare un memorabile proclama dal re con ordine a noi ribelli di porci prontamente dietro le linee delle nostre truppe.
Chiamato, il 27 ottobre, Menabrea al nuovo Ministero, egli pose un termine all'anarchia ministeriale, e pubblicò il seguente proclama: «Italiani! Delle schiere di volontari, esaltate e trascinate per opera di un partito, hanno, senza l'autorizzazione mia e del mio Governo, varcato i confini dello Stato.
La riparazione di quell'atto inumano fu espresso innanzi alla Camera dei deputati dallo stesso presidente del Consiglio dei ministri generale Menabrea, con queste parole che acquistarono una speciale importanza per la persona che le pronunziava.
Le speranze e i disegni di Garibaldi si dileguavano. Un uomo di così violente passioni che non poteva ammettere separazione fra l'idea e l'atto, aveva potuto sperare d'impadronirsi di Roma, finchè; soltanto le truppe pontificie la difendessero ma dopo la venuta dei Francesi, la più audace fantasia doveva arrestarsi. L'intervento francese e il passaggio dei confini da parte dell'esercito italiano sottraevano ormai a lui ogni terreno per un'ulteriore azione extralegale. Egli vide in questi fatti un piano concertato di reazione, e se ne giudicò vittima. Prima si eran serviti di lui, ora volevano schiacciarlo. Il proclama del Re e di Menabrea gli mostrava che egli dovea aspettarsi un secondo Aspromonte. Messi da Firenze gli portavano la recisa intimazione di deporre le armi e rientrare nello Stato. Egli ricusò, e il primo novembre pubblicò quest'ordine del giorno: «Il governo di Firenze ha lasciato occupare il dominio Romano che noi avevamo a prezzo di sangue prezioso conquistato, sottratto ai nemici d'Italia. Noi dobbiamo accogliere i nostri fratelli dell'esercito coll'abituale cordialit
Menabrea aveva di gi
In una gerarchia che mi son fatto io stesso per mio uso e consumo, ma che non ha rapporto alcuno coi responsi della Consulta araldica nè col famoso decreto del Menabrea, che metteva i professori in ottava linea, io metto l'industriale molto al disopra del negoziante ed anche del banchiere. Il negoziante compra e vende, l'industriale produce.
Rattazzi trascinato dalla corrente non era, più tardi, alieno dall'inviar le truppe italiane su Roma, ma un veto superiore ne lo trattenne e giunse voce d'un nuovo intervento francese a Roma, finchè egli nella sua stridula fiacchezza cedette il posto al reazionario Menabrea.
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