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Rattazzi trascinato dalla corrente non era, più tardi, alieno dall'inviar le truppe italiane su Roma, ma un veto superiore ne lo trattenne e giunse voce d'un nuovo intervento francese a Roma, finchè egli nella sua stridula fiacchezza cedette il posto al reazionario Menabrea.

Il Ministero Rattazzi si trovò in una posizione difficile; non solo aveva contro di la Francia, ma tutte le potenze, risolute a non porre ostacoli all'intervento francese. La Prussia medesima, su cui avrebbe potuto contare, gli sarebbe stata propizia solo quando Napoleone si fosse di nuovo impelagato nella questione italiana, e con ciò avesse perduto le ultime simpatie dell'Italia. Come poteva Rattazzi occupare il territorio dello Stato pontificio? A Roma nessun moto si produsse, che potesse dargli occasione o pretesto. Nelle casse della corrispondenza del Senato romano io trovai, in quel giorno 19 ottobre, solo uno scritto anonimo, che affermava la situazione a Roma essere così minacciosa, da richiedere l'intervento di truppe italiane nella capitale; il senatore dover presentare al Papa la proposta; migliaia di cittadini che avevano lasciato presso un notaio i loro nomi, esser pronti a dichiarare che questa era la volont

Rifiutato categoricamente il progetto di Rattazzi, la netta dichiarazione della Francia costrinse il Governo italiano a dichiarare di voler mantenere la convenzione. Il 19 ottobre, l'Imperatore mandò un ultimatum a Firenze; il suo rappresentante dichiarò a Rattazzi che Napoleone esigeva una prova della sincerit

Il Gabinetto francese consigliò quello fiorentino a vegliare sulle riunioni rivoluzionarie, secondo gli accordi del trattato di settembre, e ricevette da Rattazzi l'assicurazione che esso vegliava e che non v'era nulla da temere, poichè i comitati rivoluzionarii erano deboli e privi di mezzi.

In occasione di un'interpellanza in Parlamento, Rattazzi dichiarò che, nella questione romana, egli avrebbe seguito la linea di condotta tracciata dal trattato di settembre.

Intanto, mentre Cialdini si occupava infruttuosamente della composizione del Ministero, Rattazzi sbrigava ancora gli affari di amministrazione ordinaria; durante questa pausa, poterono mettersi in moto delle forze che condussero alla catastrofe. L'Imperatore francese, sempre esitante, sempre doppio, desiderava di non essere costretto all'intervento.

La signorina Parabiano ha dunque un fratello? interruppe Andrea, colla voce rauca. Egli si sentiva soffocare dalla flemma della vecchia contessa. Sicuro: e anca lu, pezo che pezo! Adesso dev'essere per l'appunto a fare del chiasso nelle Romagne, con Garibaldi... buffoni! In quei giorni il generale Menabrea aveva rovesciato Rattazzi, e Garibaldi, coi volontari, metteva in fuga i papalini.

Era il grande momento dell'Italia! Cavour lo avrebbe compreso, Rattazzi l'avrebbe osato; Depretis non comprese e non osò.

«Garibaldi aveva ordine di non entrare in Roma, ma solamente costeggiare le mura per incoraggiare l'insurrezione; ed allorchè fosse stata questa superata, sarebbe entrata in Roma la truppa regolare italiana col pretesto di mettere l'ordine; se fosse entrato prima Garibaldi, si temeva non di lui, ch'era di perfetto accordo con Rattazzi, ma dei molti che lo circondavano del partito mazziniano, che aveano dichiarato di fare un plebiscito in senso repubblicano, giacchè Mazzini medesimo avea dato l'ordine di proclamare la repubblica italiana; ed in Roma a tal uopo vi erano gli emissari di Mazzini e di Rattazzi, i quali contrastavano a vicenda coi partiti esistenti in Roma

Rattazzi, legislatore anticlericale ma uomo politico da burla, il 21 settembre annunziava che seguiva con diligenza grande l'agitazione che col nome glorioso di Roma tentava spingere il paese a violare i patti internazionali e soggiungeva: «In uno Stato libero nessun cittadino può farsi superiore alla legge e mettere stesso in luogo dei grandi poteri della nazione e di suo arbitrio disturbare l'Italia nella dura opera del suo ordinamento e trascinarla in mezzo alle più gravi complicazioni