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ALBUMAZAR. A tosare un'altra pecora che vuol fissar l'argento vivo con sughi di erbe: accrescerá il numero de' burlati e il nostro bottino. GRAMIGNA. Cosí faremo. ALBUMAZAR. Usate le barbe adulterine, impiastri ed altri linguaggi, ché non siate conosciuti per quelli istessi.

Sulla strada maëstra pensieroso passava; Egli ascoltò gli amanti, i fior, gli uccelli E i rospi, e disse in cuore: I linguaggi quaggiù son tutti belli, E specialmente se parlan d'amore! Luglio 1876 Il cuore è un ventilabro e noi siam mietitori. Noi seminiam gli affetti a piene mani, Crediam nelle sementi che promettono i fiori, Crediamo nelle messi del domani.

«Madlen, quel che può esser musica nella storia d’un uomo e d’una donna, certo non è amarsi, non è possedersi, non è quel fatto volgarissimo che perfino i geometri e le dattilografe osano chiamar l’amore. No, in questi nostri linguaggi mediterranei, dove si sente la violenza ed il colore della terra calda, le parole che definiscono questa passione sembrano per noi troppo accese di plebea concupiscenza, e non ora, Madlen, mai

Oso persino alzare la voce e la mente al cielo, dove mia madre m'insegnò da bambino a cercare quel padre che non s'addonta di udirci parlare amorosi tra noi; che capisce il suo, il mio, tutti i linguaggi; quel Dio che io amo, e che ella vorrebbe che io temessi... «Orgoglioso! gridò il pievano, cui tremolavano le guancie, e il viso si faceva rosso: orgoglioso ubriaco di letture infami!

NARTICOFORO. E si scrive con «ae» diftongo, e vien da «schima» che si scrive con «ita». NEPITA. Voi dovete essere spiritato, che parlate in tanti linguaggi; ma io perdo qui il tempo, ché non avete altro che parole. GRANCHIO. Abbiam fatti per te.

Tutt'a un tratto avvicinandomi alla prora del bastimento, dove sono le terze classi, feci una gratissima scoperta. V'era un gruppo di contadini, uomini e donne, vestiti alla zelandese, non ricordo di quale isola, poichè il costume cangia da isola a isola, come cangia il dialetto, che è un misto d'olandese e di fiammingo, se pure si può dir così di due linguaggi che non hanno che piccolissime differenze. Gli uomini erano tutti vestiti ad un modo. Avevano un cappello di feltro, rotondo, con un gran nastro ricamato; una giacchetta di panno scuro, stretta, corta da coprire appena il fianco, aperta in modo da lasciar vedere una specie di panciotto listato di rosso, giallo e verde, chiuso sul petto da una fila di bottoni d'argento l'uno che toccava l'altro, come gli anelli d'una catena; un paio di mezzi calzoni di panno, del colore della giacchetta, stretti intorno alla vita da una cintura munita d'una gran borchia d'argento cesellata; e infine la cravatta rossa e le calze di lana fino al ginocchio. In somma, un po' preti dalla cintura in giù, e dalla cintura in su un po' arlecchini. Uno di essi aveva per bottoni delle monete: uso assai comune. Le donne avevano un cappello di paglia della forma d'un cono tronco, altissimo, che pareva un secchiolino rovesciato, intorno al quale svolazzavano dei larghi nastri azzurri; una veste di color scuro aperta sul petto che lasciava vedere una camicia bianca ricamata; le braccia nude dal gomito in giù; e due enormi orecchini d'oro o dorati di varie forme stravaganti, che sporgevano innanzi fin sulle guancie. Per quanto mi sforzassi di fare come fa Vittor Ugo in viaggio, di ammirar tutto come un bruto, non riuscii a persuadermi che quelle foggie di vestire fossero belle. Ma a questa sorta di contrariet