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Aggiornato: 4 giugno 2025
DON FLAMINIO. In che cosa mi serverai e in che modo? LECCARDO. Del modo non posso deliberare se non parlo prima con Chiaretta, ch'ella tien le chiavi delle sue casse. È gran tempo ch'ella cerca far l'amor con me. DON FLAMINIO. Bisogna far l'amor con lei e dargli sodisfazione. LECCARDO. Piú tosto m'appiccherei.
LECCARDO. Oh com'è stata la venuta di costui a proposito! dalla cattiva via m'ha posto nella buona. Quando la fortuna vuol aiutare trova certe vie che non le trovarebbono cento consigli.
LECCARDO.... Però non è meraviglia se mi sento cosí leggiero: non mangio cose di sostanza.... DON FLAMINIO. Volgiti qua, Leccardo. LECCARDO. O signor don Flaminio, a punto stava col pensiero a voi! DON FLAMINIO. Parla, ché la tua bocca mi può dar morte e vita. LECCARDO. Che! son serpente io che con la bocca do morte e vita? La mia bocca non dá morte se non a polli, caponi e porchette.
LECCARDO. Per un'ora, anzi mezza, anzi per un quarto; e te la ritorno come me la prestasti. CHIARETTA. Dimmi, che vorresti? LECCARDO. Vorrei.... CHIARETTA. Che vorresti? LECCARDO. Dubito non me la presterai. CHIARETTA. Ti presterò quanto ho per un'ora, per un quarto, per quanto tu vuoi: a me piú tosto manca l'occasione che la voluntá di far piacere; e se non basta in presto, te la dono.
Ho cosí deliberato; e le cose deliberate si denno subbito esseguire. SIMBOLO Ecco don Flaminio vostro fratello. DON IGNAZIO. Presto presto, scampamo via, ché non mi veggia qui ed entri in sospetto di noi. SIMBOLO. Andiamo. DON FLAMINIO giovane, PANIMBOLO suo cameriero. DON FLAMINIO. Panimbolo, quando vedesti Leccardo, che ti disse?
Ma scostati da me, ch'or che mi sento imbizzarrito, che non ti strozzi. LECCARDO. Oimè, che occhi stralucenti! MARTEBELLONIO. Guardati che qualche fulmine non m'esca dagli occhi e ti brusci vivo. LECCARDO. Tutta l'istoria è andata bene; ma ve sète smenticato che non fu ballonetto ma ballon grande, e tanto grande che non si basta a ingiottire. Ma io ti vo' narrar una battaglia ch'ebbi con la Fame.
Come il veggio cader dal cielo come una nubbe, vengo in piazza e lo ricevo nella palma; ché si desse in terra, se ne andrebbe fin al centro del mondo. LECCARDO. Che bevea? il mangiar il pane solo l'ingozzava e potea affogarsi. O si morí di sete? MARTEBELLONIO. Bevé un canchero che ti mangia! LECCARDO. Oh s'è bella questa, degna di un par vostro!
LECCARDO. Sempre su gli amori! DON FLAMINIO. Se ti scaldasse quel fuoco che scalda me, diresti altrimenti. LECCARDO. Io credo che l'amor delle femine scaldi; ma l'amor del vino scalda piú forte assai. DON FLAMINIO. Che novelle? LECCARDO. Dispiacevolissime. Don Ignazio avendo trattato col padre, ave ottenuto Carizia.
DON FLAMINIO. Cosí vo' fare. PANIMBOLO. Ma ecco la peste de' polli, la destruzione de' galli d'India e la ruina de' maccheroni! LECCARDO parasito, PANIMBOLO, DON FLAMINIO. LECCARDO. Non son uomo da partirmi da una casa tanto misera prima che non sia cacciato a bastonate?...
DON IGNAZIO giovane innamorato SIMBOLO suo camariero DON FLAMINIO giovane suo fratello PANIMBOLO suo camariero LECCARDO parasito MARTEBELLONIO capitano ANGIOLA vecchia CARIZIA giovane EUFRANONE vecchio POLISSENA sua moglie CHIARETTA fantesca AVANZINO servo Birri DON RODERIGO viceré della provincia. Il luogo dove si rappresenta la favola è Salerno. DON IGNAZIO giovane, SIMBOLO suo cameriero.
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