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ma se’ venuto più che mezza lega velando li occhi e con le gambe avvolte, a guisa di cui vino o sonno piega?». «O dolce padre mio, se tu m’ascolte, io ti dirò», diss’ io, «ciò che m’apparve quando le gambe mi furon tolte». Ed ei: «Se tu avessi cento larve sovra la faccia, non mi sarian chiuse le tue cogitazion, quantunque parve.

Io vi veggo dell'Ospizio Negli androni lunghi e scuri Sfilar tutti e, a larve simili, Rasentar gli scialbi muri; E me stesso e il mondo oblio Nell'udir lo stropiccìo Delle scarpe trascinate Sulle pietre levigate. Quest'Ospizio, or non è un secolo, Era un chiostro solitario; Vi dormian, tranquilli, i monaci Fra una cena ed un rosario: Quella pace chi rimembra?

Cupe larve di donna a me davanti Passan ne la penombra. Son larve di fanciulle in voti e in pianti Consumate nell’ombra: Ed eran belle, e avean del Sol l’ardore Ne l’auree trecce folte; E non ebbero baci, e senz’amore Fûr ne l’oblìo sepolte.

Quei, che l'amaro calice accettando, Com'uomo il rimovea raccapricciando! Con qual desìo la settima festiva Aurora io nel mio carcere attendea! Per sei giorni in mestizia illanguidiva, O la mente pensosa egra fervea, E talor preda di larve giva, Che il lume di ragion perder temea: In quell'ore io talvolta Iddio cercava, E, inorridisco in dirlo! io nol trovava.

Era ben lui che vedeva intorno a ; ma era nel suo letto, ammalato, e vedeva il vero: non più sgomenti, non più terrori, non più larve di sogni, non più visioni di febbre. La bella creatura spiava quel ritorno dell'infermo in stesso. Lo indovinò alla insistenza con cui egli guardava verso di lei, dovunque ella andasse o da una parte o dall'altra della camera.

Poi, come gente stata sotto larve, che pare altro che prima, se si sveste la sembianza non sua in che disparve, cosi` mi si cambiaro in maggior feste li fiori e le faville, si` ch'io vidi ambo le corti del ciel manifeste. O isplendor di Dio, per cu' io vidi l'alto triunfo del regno verace, dammi virtu` a dir com'io il vidi!

ma se' venuto piu` che mezza lega velando li occhi e con le gambe avvolte, a guisa di cui vino o sonno piega?>>. <<O dolce padre mio, se tu m'ascolte, io ti diro`>>, diss'io, <<cio` che m'apparve quando le gambe mi furon si` tolte>>. Ed ei: <<Se tu avessi cento larve sovra la faccia, non mi sarian chiuse le tue cogitazion, quantunque parve.

Un d'angeliche voci eletto coro entrato esser mi parve, e poi mirai cangiarsi e' bianchi volti in sozze larve, e il lor concento in stridi ed urli sparve. Ignorantia inter delitias.

Andrai coi piè nel fango e l’occhio altero Nella luce rapito, Le magnifiche larve del pensiero Cercando per le vie dell’infinito: Da una possa virile andrai sospinta, Più grande ancor se vintaCosì mi parla la tenèbra

Giunge il ribaldo al vescovil ricinto, Ed ascende al tempietto, ove il Pastore, Da' famigliari sacerdoti cinto, La preghiera seral porgea al Signore. Ivi d'oranti assai stuolo indistinto Pïamente con esso effondea il core: Palpita mal suo grado l'omicida, E ancor «Ti pentil'angiol suo gli grida. Ma soffocò tutti i rimorsi, e rise Dell'angiol suo e di Dio, come di larve.