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Aggiornato: 19 giugno 2025
Tanto allor di temenza accoglie in seno Di Licia il campo, e sì fuggir desira, Ch'ei turba d'ogn'intorno, onde non meno Il campo de' Cilici a fuggir tira. Vede il tumulto, odene i gridi Ebreno, E contra lor solo AMEDEO rimira; Però s'innaspra, e di mortal disdegno Con volto irato e con gridar fa segno.
Alcun de' paladin si prova l'armi in faccia alla sua dama afflitta e mesta, che dice: Voi volete tormentarmi; mi sembrate un tincone in una cesta. Se m'amate, un favor dovete farmi: scansatevi di abate con la vesta. A corte il paladin fedi ha mandate ch'ei s'era messo il collarin da abate. Orlando irato fa gobbe le spalle, e me' che può rattaccona le cose.
Ma poco i valse: che' l'ali al sospetto non potero avanzar: quelli ando` sotto, e quei drizzo` volando suso il petto: non altrimenti l'anitra di botto, quando 'l falcon s'appressa, giu` s'attuffa, ed ei ritorna su` crucciato e rotto. Irato Calcabrina de la buffa, volando dietro li tenne, invaghito che quei campasse per aver la zuffa;
Rugger mostrossi irato nel sembiante, e disse: O Dio, quando averò mai posa? Non mi potete dar maggior sciagura di questa ch'ora provo né piú dura. E terribil volgendosi a Marfisa, disse: Aprite gli orecchi a quel ch'io parlo.
Ivi disse del re l'ore perverse, E ciò che per suo scampo il ciel promise; E ch'a morte magnanima s'offerse La bella Irene e di sua man s'ancise. Verso il nunzio crudel l'alme converse Teneano i Turchi in miserabil guise, E 'l sovrano signor, come l'intese, Tra pietoso ed irato, a parlar prese: LV
TRINCA. Sguazzarai come un cavallo per un pantano: il mio padrone sta irato teco. GULONE. Scusa di mal pagatore: perché l'ho maritata la figlia, per non darmi la mancia, finge il colerico. Questo è il frutto dell'obligo? Va' e stenta tu. Io vo' che mi faccia il beveraggio bonissimo. TRINCA. Ha promesso farti buttar in un fiume, ché beva benissimo. GULONE. Che ha egli meco?
Con sì nobili detti oltre s'avanza, E tra' suoi Franchi si conduce al fine; E visto a pena ei fu, ch'alta speranza Prese quelle alme a sbigottir vicine: Gridaro, ed ebbe quel gridar sembianza Di procelloso suon d'onde marine, Allor che presso Calpe a l'aer bruno Trascorre irato il tridentier Nettuno.
FILIGENIO. O Dio, che avessi un bastone! ché avendo tu la pelle delle spalle piú indurita di quella degli asini, se ti do con le mani, offenderò piú me che te. O che unguento di cancheri! Traditorissimo, se non ti disponi a dirmi la veritá, proverai lo sdegno di un padron irato e schernito da te. Ti darò tante bòtte che amboduo restaremo stracchi, io di dar, tu di ricevere.
Quei pronto move; ed al signor vicino E con rapidi passi in un momento, Ivi, la fronte umilemente inchino, Ch'a dir prendesse egli aspettava intento. Ed irato Ottoman: pur sul mattino Per noi vinceasi, onde or tanto spavento? Qual larva de le turbe agita il core? Cerca, onde sia de' nostri il gran terrore; E mi si scopra. Ei sì dicea turbato.
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