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Aggiornato: 7 giugno 2025
Il primo aveva ricevuto una palla al petto con lesione, pare, al polmone; il secondo era stato colpito allo stinco, e il terzo aveva lo stomaco perforato da due proiettili uno dei quali gli è rimasto nel corpo. Io li ho veduti in infermeria, subito dopo il loro arrivo. Erano giunti a Finalborgo in una condizione da commuovere le pietre.
In generale il forzato, come lo abbiamo conosciuto noi, è buono. Nella zona della espiazione diventa un fratello che si intenerisce dei vostri dolori e vi rincuora alla speranza. A Finalborgo c'è stato un tempo in cui adempiva alla funzione pietosa d'infermiere Alfonso Carbone, un capo brigante che aveva della iena e che mutilava le sue vittime attorcigliandosi le loro budella intorno la mano. In infermeria, lo si poteva dire una suora di carit
Non sono così pessimista, ma convengo che in tutto questo sistema c'è qualcosa di sbagliato. Vi racconto quello che è avvenuto a me in otto mesi di prigionia. Ho notato, prima di tutto, che per andare in infermeria bisogna essere più che moribondi. Il medico è sempre riluttante a mandarvi in una cella d'infermeria. E io non posso dargli torto.
Lo trovai nel letto della infermeria incatenato alla branda, con la cuffia di cotone bianco sulla fronte, che stava aspettando la sbriacatura. Che cosa fate? gli domandai. Non ho potuto alzarmi alla solita ora per un po' di vino brusco. Accidenti al vino brusco!
Non ci fu ammalato che non mi abbia parlato con entusiasmo di questa perla di condannato che nessun direttore o capo guardia è mai riuscito a punire in ventisette anni di carriera dolorosa. Me lo si raccomandava dicendomi che in infermeria, senza di lui, si poteva morire.
È un'illusione di credere che quella a celle dia maggiore sicurezza di quelle a letti a poca distanza l'uno dall'altro. Forse voi non siete mai stato in infermeria. Io ci sono stato e mi sono convinto che è migliore quella a stanzoni e a finestroni. Almeno in uno spazio grandioso, coll'aria che si cambia più rapidamente, si respira più liberamente e si ha la consolazione di essere con qualcheduno.
³³² Vedi vol. I, cap. II: Su e giù per Palermo, p. 18. I prigionieri aggrappati alle spranghe della Vicaria, gli ammalati della Infermeria specialmente, fissano atterriti il mare di teste che fluttua irrequieto. Dalle finestre, dalle terrazze, dai tetti, dai cornicioni si affacciano, si protendono, penzolano come grappoli di corpi umani migliaia di persone.
Il Luraghi era alloggiato nella mia stanza con altri e il Platner dimorava in infermeria perchè sofferente di non so quale incomodo. Erano le nove di una notte buia. Qualcuno di noi russava e qualcuno di noi si voltava sui fianchi per addormentarsi. Sentimmo un grido d'uomo spaventato o d'uomo colto da un malore. Guardia! guardia! La guardia non era vicina o era altrove o non sentiva.
Il tessuto che si avvolgeva sul cilindro, aveva tutte le mie carezze. Fu una gioia di pochi mesi. Il subbio, sul quale calcavo il ventre, finì per darmi una infiammazione intestinale. Dovetti andare in infermeria e poi ricominciare un altro mestiere. Divenni legatore di libri come si può diventarlo in un luogo dove si manca di tutto. Come tale mi si mandò nel bagno di San Giuliano.
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