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Aggiornato: 13 giugno 2025
GULONE. Se mi lascio prendere da Mazzafrusto che mi frusti e ammazzi, e da Sgraffagnino che mi sgraffigni! a dio, a dio. TRINCA. Ascolta una parola... GULONE. Non ascolto parole. TRINCA.
GULONE. Veramente, sí; ché, se non fussi stato in fame, non sarei andato a casa sua, ma sarei venuto alla vostra. TRASIMACO. Dico che non è ufficio d'uomo da bene. GULONE. Io non fui mai uomo da bene, né ci voglio essere: se ci fussi, mi morrei di fame. Io son ladro, buggiardo, furfante e ruffiano, e cosí sguazzo il mondo. TRASIMACO. Cosí tratti gli amici?
Avemo detto una bugia per uno. PARDO. Fa' che tu non accosti piú alla tavola mia. GULONE. Che diavolo stimi, che se non ho la tavola con mesal bianco, ornato di frondi e di fiori, e di salvietti fatti a torrioni, che non sappia mangiare? buon vino e buona carne fa l'effetto. PARDO. Non te n'è mancato in casa mia.
TRASIMACO. Tu mi vai punzecchiando e mi offendi troppo indiscretamente: non lo comporterò, cancaro! GULONE. Ti venga a mente come m'hai disfidato: e son rissoluto uccidermi teco. TRASIMACO. Arcitonante Giove, che audacia è la tua?
PARDO. Lo castigherò ben io. TRINCA. Gulone è come il canchero che, quanto meglio lo nudrite, piú incancherisce e infistolisce. PARDO. Che rimedio ci sará? TRINCA. Quello degli infranciosati: con una dieta di pane e di acqua per quaranta giorni, ché lo consumi la fame e la sete in fin all'ossa. Come se li manca la biava, andrá via. Però torniamo a noi.
TRASIMACO. Vien qua tu; è vero che hai detto mal di me? ché vo' farti in mille pezzi, ti guasterò tutto. GULONE. Sí, che è vero. TRASIMACO. Or, poiché hai confessato il vero, ti vo' perdonare. Tristo te, se me dicevi la bugia, tanto m'è nemica. GULONE. Io voglio dir di nuovo mal di te. TRASIMACO. Fatti in lá che non lo senta, ché non me ne curo. GULONE. Io vo' che tu lo senta.
TRASIMACO. Mira il furfante che, burlandosi di me, scherza con la morte. Fatti indietro, poltrone. GULONE. Ti sei fatto indietro tu, prima che lo dicessi. Tu sei come il gallo d'India: gonfia la gola, arrossisce la cresta, apre l'ali e le batte intorno, e sbuffa come si volesse far qualche gran cosa, poi si ritira. Férmati, schiuma de forfanti.
GULONE. Sí, carne di asino, di quelli che portano le pietre per le fabriche, tutti pieni di cancheri e di guidaleschi: e se pur qualche pollo, senza testa, senza piedi e senza ali, e senza fegadelli e ventricelli, che te ne servivi per l'insalate, ti veniva tronco a tavola, che parea che fosse stato alla rotta di Ravenna.
PARDO. Mi dispiace l'onor che ti ho fatto; ma tu non pratticherai piú meco. GULONE. Ed a che mi può servir la tua vecchiezza? a darmi consiglio? Io non ho bisogno di consiglio, né fo mai cosa con consiglio. PARDO. Se non vai via, chiamerò alcun di casa, che ti spezzi l'ossa. GULONE. Chiama Mazzafrusto o Sgraffagnino che mi prendano. PARDO. Vo' entrarmene in casa, per tormi questa bestia dinanzi.
GULONE. Ahi, traditore, mi cavi l'anima col tuo apparecchio: e' par che mi tocchino la cima del fegado. Se con l'imaginazione ne godo, che sarebbe quando fussimo su l'atto prattico? e lo dici a tempo, che ho lo stomaco piú vóto d'una vessica sgonfiata, e il pulmone brusciato per la sete.
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