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Aggiornato: 19 giugno 2025
Com'esser può che 'ncendasi le piume, mancando il sole, l'unica fenice, o ch'ardi al spento foco cera o pice di natural e non divin costume? Com'esser può, dal cor un'alma sgiunta, che 'n corpo viva, come allor viss'io che 'l cor al car mio dolce Iesú diedi? Ma 'n ciò tu sol, amor, natura eccedi, ch'un corpo viver fai, benché 'l desio sen porti altrove il cor su l'aurea punta.
Tutti approvarono il disegno del principe, tutti fecero plauso alla sua idea, e un momento dopo nelle sale della Stampa non si parlava d'altro che del principe della Marsiliana e del nuovo teatro. Come si deve chiamare? domandò il principe a Maria quando gli elogi furono cessati. Come vuole; il nome non fa nulla. Lo chiameremo "La Fenice" in memoria della sua Venezia, rispose il principe.
Toccato! pensò Filippo. Quindi rispose: No! Eppure, si ricorda quella sera che andai alla Fenice l'inverno scorso, con la mamma e gli zii? Lei era nel palco della Montegalda, che aveva un così bel diadema di brillanti sui capelli neri; e qualcuno mi disse che lei era innamorato della contessa. Io guardai attentamente e capii che avevano ragione.
Cosi` per li gran savi si confessa che la fenice more e poi rinasce, quando al cinquecentesimo anno appressa; erba ne' biado in sua vita non pasce, ma sol d'incenso lagrime e d'amomo, e nardo e mirra son l'ultime fasce. E qual e` quel che cade, e non sa como, per forza di demon ch'a terra il tira, o d'altra oppilazion che lega l'omo,
Donna Camilla, informata da Fabio di quel fatto, stabilì di assistere alla festa, ma non disse nulla al marito di questo divisamento, e neppure alle parenti e alle amiche, che la tempestavano di domande. Non mi occupo degli affari di mio marito, rispondeva ella sdegnosamente a quante le parlavano della Fenice "Cela ne me regarde pas."
Mentre a ogni modo io m'accomiatava un giorno da Sismondi chiedendogli s'io poteva far cosa alcuna per lui in Parigi, un esule lombardo che avea sempre ascoltato attentamente i miei discorsi senza mover parola, mi chiamò in disparte e mi susurrò nell'orecchio che, s'io aveva desiderio d'azione, mi recassi in Lione e mi presentassi agli Italiani che troverei raccolti nel Caffè della Fenice.
E quel doppio segno, ch'è la vostra missione ed il vostro battesimo fra le Nazioni, era visibile sulla vostra fronte, mille anni innanzi che gli altri Popoli fossero. Però che voi, soli fino ad oggi fra tutti, aveste da Dio privilegio di morire e rivivere, come gli uomini favoleggiarono della Fenice.
Senonchè, finita la stagione della Fenice, la Candida prese il volo per altri lidi e le successe una Olimpia ascritta tra le Scozzesi di una Lucia di Lammermoor che si rappresentava al teatro S. Benedetto. L'Olimpia non durò un pezzo neppur lei, e le tenne dietro una Serafina, virtuosa di canto, che, insieme con molte altre cose, aveva perduto la voce.
Quale? La figurante della Fenice? domandò il conte Leonardo con gli occhietti lustri. Quella appunto.... Che bevitrice!... È a Venezia di nuovo.... Diavolo! Da quando? Da poco.... Stasera è a cena con noi altri al Cappello.... Dovresti venire anche tu.... Io?... No.... Sono in lutto....
Zaira, che dicemmo parea dormisse, udì, ne fu dolente ma non lo confessò e solo disse, rialzandosi alquanto, dal suo improvvisato giaciglio: Ma chi è mai, quella fortunata donna, che voi amate sì fortemente, e che per ventura non vi corrisponde? È forse l'araba Fenice?..... Pentito Alfredo allora, del proprio enfatico dire, chiese perdono collo sguardo, e si tacque fino al levar del giorno.
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