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Aggiornato: 25 luglio 2025


Mi pone le veste in spalla e dice: Vai in tal parte, che troverai un uomo alto basso, magro grasso, che si chiama Facio; dágli queste vesti. Se tardo, i gridi vanno al cielo; se non fo l'effetto, gioca di bastonate; se fo errore, guardite Iddio....

GERASTO. Che sicurtá? che pentire? che trenta scudi? FACIO. Come trenta scudi? Dico che avendomi promesso... GERASTO. Parole. FACIO....trenta scudi... GERASTO. Se non l'hai meglio di questa,... FACIO....in iscambio delle mie vesti,... GERASTO....tu sei matto da dovero. FACIO....avendomegli promessi dinanzi duo testimoni,... GERASTO. Tu erri in grosso. FACIO....serò atto a farmeli pagare.

PANURGO. Ah, ah, ah! or m'accorgo che tutti e tre siamo ingannati. Ascoltate. I giorni a dietro da maestro Rampino mi feci far certe vesti da dottore; e aspettando questa mattina le vesti, vedo questo giovane che le portava sotto. Dimando: Di chi sono? mi risponde: Di Facio.

GERASTO. Io arò pensiero di ricovrarle da lui, inviarvele in vostra casa; che se ben egli ingannandovi ve l'ha promesse da mia parte, or che stimo lui un tristo, ve le prometto da senno, che vo' un poco informarmi del tutto. FACIO. Dunque io vi cerco perdono se sono troppo con voi trascorso in parole. GERASTO. Dove è Cintio vostro figliuolo? NARTICOFORO. L'ho lasciato nel diversorio.

GERASTO. Mi contento non tanto per i trenta scudi, quanto per farvi vedere un miracolo di una mia ricetta, che un todesco, a cui avea fatte molte carezze in casa mia, morendo, me ne lasciò erede: con duo soli lattovari, non piú. FACIO. Che lattovari, che tedeschi, che ricette? GERASTO. Dico che vi servirò tra pochi giorni. FACIO. Dico che li voglio adesso. GERASTO. Che cosa?

PANURGO. Mentre stiamo aspettando Alessio, un certo amico che ne manda le vesti a questo effetto, vuoi che te insegni a fingere quel che abbiamo a fare? MORFEO. Imparami d'altro che di fingere: questo fu mio primo essercizio. Ma ecco il servo che ti porta le vesti. PANURGO. Non viene a me, va dritto alla casa di Facio; deve essere il servo di maestro Rampino: vogliam far prova di torcele?

GERASTO. Di piú, ha portato un mostro in casa con dir ch'era Cintio suo figliuolo: io ho tenuto voi per pazzo, non conoscendovi; poi, m'ave inviato un giovane, che questi diceva mal di me: ed è stato cagion, penso, d'azzuffarci insieme. FACIO. Che si fará dunque delle mie vesti?

PRUDENZIO. Et in casu necessitatis me ne andarò ad osculare i piedi al clavigero portitore cellicolo, idest del beatissimo pontifex maximus, in nel suo proprio solio, quando pur me farete fuori del debito; bench'io non multi facio le parole vostre degne di reprensione. MALFATTO. O quello! Addio. Fit! PRUDENZIO. Ché noi non siamo per comportarci alcun dedeco, idest mancamento.

GERASTO. Io non dico che non intendo la voce, ma non intendo quel che dici. FACIO. Che parlo ebreo, greco o arabico, che non m'intendi? GERASTO. Parli come me, ma non intendo che dici di trenta scudi e di vesti. FACIO. Tu sei peggio che sordo, che il peggior sordo è quello che non vuole intendere. Tu sarai forse pentito di aver fatto sicurtá di trenta scudi, e fingi non intendere.

PANURGO. Se può dir mia madre, ché questa mattina, uscendone, mi ha partorito. PELAMATTI. Dio ti facci esser nato in buon ponto. Figlio di questa porta, mi sapresti dir se dentro ci fusse Facio? PANURGO. Facio ti sta innanzi e parla teco. PELAMATTI. Dunque, voi sète... PANURGO. Si, si, Facio padre di Alessio. PELAMATTI. Me l'avete tolto di bocca, che proprio volea dimandarvi se voi eravate Facio.

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