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Aggiornato: 30 giugno 2025
Non vecchio nè giovane, con poca barba biondiccia venata di peli bianchi, più macilento che magro, alto della persona ma curvo, quasi piegato in due quando attraversava la grande navata della chiesa per recarsi dalla sagrestia al suo pulpito, appariva tutt'altro quando si affacciava di lassù, alta la fronte, sfavillanti gli occhi, diritto il corpo come una spada. Era cappuccino; si chiamava padre Anselmo da Carsoli. Modesta figura di asceta, vestiva umilmente una tonaca spelacchiata, su cui non mancavano le toppe, larghe, lunghe, fatte più vistose dal colore più carico del panno, con le quali il vecchio abito si andava via via rinnovando a pezzi e bocconi. Camminando in istrada, così curvo delle spalle e sempre a capo basso, non guardava mai nè di qua nè di l
Allora, dalle più intime fibre, dalle viscere più profonde, il fremito precorritore dell'ispirazione si propagò per tutto l'essere suo. Mentre il celebrante prendeva dalla patena e sollevava l'ostia, l'opera alla quale egli aveva pensato invano, le immagini da collocare sulla cima Antalba, gli balenarono dinanzi agli occhi della mente; un asceta con la fronte al cielo, una penitente coi ginocchi sulla terra, prossimi e pur separati, concordi ed uniti solo nell'adorazione dell'ignota potenza che governa l'universo. Mentre il sacerdote deponeva l'ostia sul corporale e mesceva il vino e l'acqua nel calice, e l'offeriva, e si chinava davanti all'altare, mentre l'organo distendeva sulla trama dell'Offertorio un tenue ricamo di sospiri melodiosi, le immagini si precisarono: egli vide in sè stesso l'uomo lontano ormai dalle vie del mondo, inaccessibile alle cupidit
Non lo aveva veduto ancora mai; ora lo vedeva per la prima volta: un povero vecchio, dal volto di asceta, con un sorriso buono, paterno, sulle labbra, che procedeva ricurvo, schiacciato dal peso degli anni e dalle cure, dalle brighe, dalle fatiche del suo ministero; un vecchio buono, tanto diverso dall'immagine che egli si era formata di lui. Si cacciò tra la folla.
Era il cappello della signora. Alle ore undici, nel Grande Hôtel, il prof. Gian Franco Marchi parlava ancora con la signora Giraldi. La signora si veniva riallacciando l'abito con mano tremante. Era una cosa terribilmente piena di mortificazione per la signora: quell'uomo, il prof. Marchi, gelido, meccanico, irreprensibile nel vestito, aveva esercitato su di lei un'impressione di paura, di soggezione e di ammirazione insieme. Eppure quell'uomo aveva parlato sempre con una voce soavissima, musicale, con un bellissimo accento italiano: appena, appena una sfumatura di amabile ironia. Aveva trattato con la verecondia di un asceta, con la delicatezza di una suora di carit
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