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Aggiornato: 14 maggio 2025
Nè lo emulo Benedetto sperimentava la fortuna meno acerba, però che Carlo VI al parere del Parlamento e della Sorbona avendo pubblicato uno editto che ordinava ai sudditi Papa, ed antipapa mandassero alla malora se prima dell'Ascensione non si fossero accordati, Benedetto indracandosi lo intimava ad abbuiare l'editto; se no, guai! E il re di rimando lo dichiarava nientemeno che scismatico, eretico ostinato, perturbatore della Chiesa di Dio, con altre siffatte galanterie che i re fino da cotesto tempo avevano rubato alla bottega del Papa. Allora chi piglia per un verso, chi per un'altro: Gregorio si commette a Carlo Malatesta di Rimini ed intima il Concilio a Ravenna; Benedetto va in Arragona, e convoca a sua posta il Concilio a Perpignano; il terzo Concilio intanto faceva le sue faccende a Pisa dove deposti Benedetto e Gregorio elessero Papa un Pietro Filardo, che volle appellarsi Alessandro e fu V di numero: poco visse, e corse fama credibile, raccolta eziandio dagli scrittori chiesastici, che morisse di veleno ministratogli da Baldassare Cossa legato di Bologna, non avendolo alla prova rinvenuto quale ei lo desiderava arrendevole. Se a sostituire il Cossa al morto Alessandro contribuisse lo spirito santo arduo è a sapersi; certamente vi ebbe parte il terrore delle armi stipendiate dal Cossa. Dal Concilio di Pisa ne uscì questo di bene che invece di due Papi d'ora innanzi furono tre, che si misero a straziare la Chiesa per modo, che peggio non avrieno potuto fare i Saraceni; e qui considerando come i Papi con poca e punta autorit
La Corte si disponeva a dare all’Europa notizia di ciò che avea fatto per l’ingrato argomento; ma l’Airoldi, a cui, spettatrice l’Europa, veniva a crollare il grande edificio storico, chiedeva, non persuaso ancora, di appellarsi a giudice più competente di Hager.
E siccome le sue querele dapprima, e quel confidente appellarsi alla mia tutela da poi, m'avevano cercato il cuore questo cuore così infaustamente aperto ai dolori io mi feci, del mio meglio, a pagarlo di conforti.
Deputaremo un Giudice, non fiorentino, ne Pisano laico Dottore, il quale, da noi hauera' autorita', di terminare, e' dicidere, summariamente ogni vostra lite, o' differenza, ciuile, o' criminale, uista, conosciuta la uerita' del fatto ammettendoui per testimonie delle vostre hebrei, con il giuramento, e' more hebraico facendo giustitia, a ciascuno, e' che dalle sue sentenze non possa appellarsi, se non per gratia nostra spressibile.
Mentre che queste accuse andavano attorno di bocca in bocca, e ridestavano nell'intimo de' cuori l'odio che vi si ammucchiava da lungo tempo, i capi delle fazioni austriaca-mitigata ed italica-pura, o italo-austriaca, preferendo apertamente le vie legali, apparecchiavano una protesta contro il senato ne seguenti termini concepita: «Dando retta alla pubblica voce, il senato nella sua seduta del 16 corrente, seduta intorno alla quale nulla è trapelato al di fuori, avrebbe discussato e deciso un affare della massima importanza per il reame. Ammettendo che nelle presenti congiunture sia necessario di appigliarsi a straordinari provvedimenti, i sottoscritti giudicano cosa indispensabile il convocare, conformemente ai princìpi della nostra costituzione, i collegi elettorali, nei quali soli è posta la legittima rappresentanza nazionale». E a quest'atto erano apposte meglio che cencinquanta firme, prime fra le quali eran quelle dei capi dei varii partiti. Allato dei nomi dei conti Confalonieri e Porro, dei Ciani, de' Verri, de' Bossi, de' Triulzi, ec., i più ragguardevoli degl'Italici sedicenti puri, vedeansi i nomi dei conti Alfonso Castiglioni, Giulio Ottolini e Antonio Greppi, austriaci puri; quello del conte Giovanni Serbelloni, austriaco mitigato, e quello perfino del barone Trecchi, partigiano, forse unico, dell'Inghilterra. Questa petizione o protesta, come che voglia appellarsi, era indirizzata al podest
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