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Quell'antica innocenza villereccia, un tempo celebrata da' poeti, non avea piú seme corteccia, il rossor, il pudor si stavan cheti; perocché certi paladini feccia, o vogliam dir filosofi discreti, che villeggiavan l'autunno e la state. avean le villanelle addottrinate.

L'Arte e il Pensier si amarono. Ella porse al Pensiero Le gioje che sollevano; Egli le apprese il vero. Ma l'Arte, esperta e provvida, Recò al novello tetto Di cortigiana il letto, Di monaca il pudor.

Or tu da quel romito angolo oscuro, Gangetico Assalonne, esci, e la tua Patetica parola ai salutari Sbadigli i labbri e gli occhi al sonno inviti. Dal curïoso sguardo dei profani Un umile pudor forse t'esclude? Virtù di debolette alme è il pudore, E non solito a te. , se arruffata Su le groppe rachitiche ti ondeggia La popolosa zazzera, nemica Di baveri non unti e di severi Pettini; o a mala pena entro al rapato Abito puëril movesi il petto Stento e gli attratti gomiti, indulgente Men ti sar

Così dicendo, a l'odorato lembo De le vesti di lei dolce si appiglia; Ella pavida in atto, al vergin grembo Restringe i veli, e al suol figge le ciglia; E qual fussia gentil, che dopo il nembo Scote la pioggia, e al Sol più s'invermiglia, Stillante di pudor la faccia bella, Senza il fronte levar, così favella: Stranier, qual che tu sii, dolce e cortese, Benchè nuovo ed ardito, èmmi il tuo detto; Deh! chi mai la possente arte ti apprese Del suäve parlar, ch'apre ogni petto?