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Siamo in casa del Passato. Passato vinto, indulgentissimo, disilluso e nostalgico. La scala sale girando con grazia e portando faticosamente la sua balaustra carica di stoffe rosso e oro. Infilata di camere rosso-oro. Vere cappelle asfissianti di fiori e di profumi artificiali. Fiori, fiori, falsi e naturali in scatole, scrigni, vasi e vassoi. Ritratti, ritrattini, ninnoli intimi preziosissimi, ricordi, album, fotografie d'ogni dimensione, autografi enormi come di giganti e flebili sbiadite calligrafie di regine morte. Tutte le cose sacre d'una vita sontuosa che preferisce il ricordo alla crudele realt

Il palazzo ha la forma d'un castello; è fabbricato di mattoni, con contorni di pietra bianca, e coperto di un tetto d'ardesia. Tutti sanno che lo fece costruire Filippo II dal celebre architetto Herrera, e che quasi tutti i re successivi lo abbellirono, e vi soggiornarono nella stagione estiva. V'entrai: l'interno è splendido: v'è una stupenda sala pel ricevimento degli ambasciatori, un bel gabinetto chinese di Carlo III, una mirabile sala di toeletta di Isabella II; e una profusione d'oggetti d'ornamento preziosissimi. Ma tutte le ricchezze del palazzo non valgono il colpo d'occhio dei giardini. L'aspettazione non è delusa. I giardini d'Aranjuez (Aranjuez è il nome della piccola citt

Alle dieci e mezzo centinaia e centinaia di carrozze cominciavano ad arrivare davanti alla reggia di Vanderbilt e ne uscivano dame e cavalieri vestiti di ricchissimi costumi di tutte le epoche, dai colori smaglianti, carichi di gioielli, di collane, d'anelli preziosissimi. Man mano che giungevano, le coppie salivano il principesco scalone sovra il quale le statue e i busti di pietra di Caen guardavano in basso con quella stupida tranquillit

Il sacrestano che ne sapeva più di me, mi spiegò questa iscrizione. Ferdinando Colombo fu, giovanissimo, paggio di Isabella la Cattolica e del principe Don Giovanni; viaggiò nelle Indie con suo padre e suo fratello, l'ammiraglio Don Diego, seguì l'imperatore Carlo V nelle sue guerre, fece altri viaggi in Asia, in Affrica e nell'America, e per tutto raccolse con infinite cure e ingenti spese libri preziosissimi, dei quali compose una biblioteca, che dopo la sua morte passò nelle mani del capitolo della cattedrale, e rimane tuttora col titolo famoso di Biblioteca Colombina. Prima di morire scrisse egli stesso i distici latini che si leggono sulla pietra della sua tomba e manifestò il desiderio di essere sepolto nella cattedrale. Negli ultimi momenti della sua vita, si fece portare un vassoio pieno di cenere, se ne asperse il viso pronunziando le parole della Sacra Scrittura: Memento homo quia pulvis es, intonò il Te Deum, sorrise e spirò colla serenit