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Ella guarda laggiù. Pensa a le nivee Placide culle ove, chinato il biondo Capo sui lini, i sorridenti pargoli Dormon sonno profondo: Veglian le madri

Come era possibile riposare con quel colletto, quel petto e quei polsini tanto abbondantemente insaldati che parevano di legno? E allora, con gli occhi della mente e del desiderio, rividi le camicie da notte della mia compagna, quelle camicie nivee, fragranti, carezzose, lievi come di garza.... Tornai ad accostarmi all'uscio: non si udiva più nulla.

Alcun che a notte muta Si smarrì tra gli avelli, ove più folti Erano i gigli nelle nivee tombe, Sentì voci tornar come di canto Dolcissimo e fuggir vide una luce Palpitante nel sasso, in cui rifulge Il nome delle belle adormentate Nel silenzioso oblio. "Noi siam le vostre Sopite illusioni ma non spente Dicevano le voci e nei scolpiti Nomi fermiamo l'ideal che fugge.

Foglia al ramo caduta, occulta lacrima, L’ultima speme dal suo cor s’invola; O nidi, o fiori, o baci, o culle nivee, Vi celate.

Insidiose, in lunghi allacciamenti, ondeggiano le najadi lascive: balenano di riso ne le vive bocche le chiostre nivëe dei denti. Sogguardan elle con languida brama Ila, si torcon elle in fra le piante. O figliuolo del re Teodamante, non così dolce mai Ercole t'ama! O tu, de li Argonäuti diletto, a cui cingon la fronte i bei narcissi!

È una bellezza opulenta e splendida, di grandi occhi neri, di fronti nivee, di bocche porporine, di contorni statuarii, una bellezza da palco scenico, che abbarbaglia da lontano, e strappa piuttosto un applauso che un sospiro, e piace di raffigurarsela in mezzo alle fiaccole e alle tazze inghirlandate d'un banchetto antico, come nella sua cornice naturale.

PRUDENZIO. Andate prima voi e fate intendere che noi venimo. REPETITORE. Cosí farò. PRUDENZIO. Or vederò pure quel rutilante e coruscante ocello e prenderò alquanti basioli da quella boccula ch'è un fonte scaturiente di nettare e palpitarò le eburnee e nivee manule fabricate, create, plasmate, cresciute et aucte et educate nel clustro sidereo dallo opifero Iove.

Dopo un lungo silenzio egli riprendeva a parlare con questo sogno: Elisenda, odi; vorrei che tu fossi una caleide ed io un altro vago e tenue insetto, e che avessimo per padiglione il calice d'un giglio, e vivere la corta vita nostra, al blando lume d'un'aurora mitigata dalle nivee pareti del nostro talamo, e poi morire tutti e due in quel giglio odoroso e chiuso.