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Le coppe ampie de 'l loto splendono ivi, non tocche: su 'l loro stelo immoto paiono aperte bocche. Ancora il vaso d'oro che a l'acqua Ila protese, la vasta urna cretese da 'l bel fianco sonoro, fa co 'l suo grave pondo le foglie ancor piegare. Ma non s'odono a 'l fondo le najadi cantare. Le najadi procaci, che il giovinetto sire ad Ercole rapire osarono co' baci,
Discopron elle in tra' capei prolissi, ridendo a sommo, il ventre bianco e il petto. Or, prono a la soave riva, il lene Ila sente vanir sua conoscenza, quasi di bocca la divina essenza d'un frutto gli si strugga per le vene. E le najadi in lunga teorìa sorgon, gli avvincon de le braccia il collo. Ila chiomato, oh simile ad Apollo! Ei beve, ei beve; e il caro Ercole oblìa.
Insidiose, in lunghi allacciamenti, ondeggiano le najadi lascive: balenano di riso ne le vive bocche le chiostre nivëe dei denti. Sogguardan elle con languida brama Ila, si torcon elle in fra le piante. O figliuolo del re Teodamante, non così dolce mai Ercole t'ama! O tu, de li Argonäuti diletto, a cui cingon la fronte i bei narcissi!
Parola Del Giorno
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