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Furono ospiti terribili. Gli ufficiali svizzeri erano buoni e cortesi, assuefatti oramai alla dolcezza della vita napoletana, avendo lasciato a Napoli casa, famiglia, figliuoli, amici; addolorati di quella guerra che sentivano inutile, addolorati per quella causa che sentivano perduta: ma i soldati non tolleravano più freno di disciplina, erano diventati ribelli a ogni ordine, si abbandonavano alla ubbriachezza, al gioco. Dopo tre giorni avevan consumato tutto il vino, tutto l'olio, tutta la farina di don Ottaviano: e chiedevano ancora, insolentemente, bastonando i contadini, sgozzando le galline. Le vecchie zie, le donne antiche di casa stavano chiuse nello stanzone di famiglia; tacevano, non osando neppure di filare, pregando mentalmente. Le serve erano in cucina, intorno a certi caldaioni dove cuocevano i maccheroni, che non bastavano mai. Tutta la notte era un cantare, un urlare, un litigare: don Ottaviano, chiuso nella sua stanzetta, leggeva ad alta voce i salmi penitenziali, per quietarsi o per stordirsi, ma non poteva dormire, il poveretto. Ma la più forte, sebbene la più minacciata, era la signora Cariclea, la moglie dell'emigrato. Lo sapevano bene, i soldati, che era la moglie di un cospiratore, di un nemico, di uno che aveva tolto Napoli a Francischiello, e ogni volta che ella compariva sulla terrazza o attraversava il cortile, vi era un mormorìo crescente di ostilit

Francesco II, Francischiello, aveva data l'amnistia: gli emigrati napoletani, a cui l'esilio era duplice dolore, ritornavano in patria, incerti, dubbiosi della parola malfida di questo Borbone, ma vinti da una irresistibile nostalgia.