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Il parroco, che era anche consigliere comunale, cominciò a intimidirsi; la moglie dell'emigrato, sua cognata, la dama straniera, Cariclea, dovette dargli coraggio, ogni sera, nelle conversazioni dopo cena; ma ogni mattina ricominciavano i terrori di don Ottaviano.

Aveva appena appena congiunte le mani della piccolina per la preghiera della sera, quando, nel silenzio profondo del villaggio, si udì un galoppo di cavallo: veniva verso la casa. E subito dopo un fievole colpo di martello risuonò. Donna Cariclea trasalì. Che doveva fare? Si affacciò senza far rumore alla finestra: nell'ombra si vedeva un cavallo e un cavaliere, ma non si distingueva altro.

La Madonna non ha tesoro diceva don Ottaviano. Ditelo voi, donna Cariclea. La Madonna non ha tesoro ripeteva la coraggiosa signora. Il maggiore andava e veniva, parlamentando fra i soldati e la famiglia. Se non ci d

Andavano fiacchi, lenti, molli, attaccandosi la giberna, visitando i fucili: e il maggior loro dolore, per quei mercenari brutali, era di non poter banchettare, di non poter mangiare gli gnocchi che le povere serve facevano in cucina. Gli ufficiali andavano, venivano, gridavano: ma inutilmente. Consolatevi, signora disse il maggiore a donna Cariclea, entrando nel salone ora vengono i Garibaldini.

Addio, signora. E fece per accostarsi al letto, donde la bimba lo guardava, e voleva baciarla. No fece la madre opponendosi. Egli uscì. Donna Cariclea lo sentì scambiare una parola con Peppino che l'aspettava pazientemente, seduto nell'ombra dello stanzone: udì lo scricchiolio della scala sotto quel corpo pesante: udì i due passi quasi allontanarsi.

Poi dette ai soldati altri venti ducati, che erano una dote da estrarsi, il primo di novembre, per far maritare una zitella del paese: ma non bastarono. Donna Cariclea dette loro venti marenghi d'oro che il marito le aveva lasciati: ma non bastarono. Zia Rachele dette a questi svizzeri furiosi quindici ducati di economie fatte, in molti anni, a grano a grano: ma non bastarono.

Erano una quarantina, estenuati: avevano trovato la devastazione dappertutto. Dappertutto i Borbonici avevano mangiato tutto, bevuto tutto, non vi era più nulla; come potevano dunque battersi? Un ufficiale, buonissimo, parlamentava con donna Cariclea e col parroco: e era inutile, non vi era nulla, nulla.

Nessuna notizia. Era perduta o salvata la patria? Ma don Ottaviano, le vecchie zie, le giovani spose, le serve erano stanche di quella tremenda giornata; e malgrado il terrore dell'indomani, malgrado la suprema incertezza, che era anche un supremo pericolo, andarono a dormire. Donna Cariclea si ritirò nella sua stanzuccia, che era proprio sopra l'arco del portone.

Con che? Non ho armi, è vero. Andarono presso il cavallo. La buona bestia nitrì: il maggiore fremette di paura. Poi, sciolse le redini dall'anello, trasse il cavallo fuori del portone e richiuse il portone. Stettero a sentire, il maggiore e donna Cariclea.

Donna Cariclea fremeva: invano aguzzava gli occhi, sulla torricella, ma non un'anima passava nella valle, non un carro, non un contadino, un deserto, un paese morto. Il cannone si arrestava, talvolta, per cinque minuti, ma dopo riprendeva con più vigore. Stette tre ore, lassù, sino all'imbrunire. E sempre il cannone: talvolta allegro, talvolta lungo e lugubre. Poi tacque. Era notte.