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Guglielmo stava cheto a contare i passi della fidanzata su per la scala, la sentiva entrare in camera, andare e venire via per il tavolato sonoro con quei cento rigiri che fanno le donne prima di coricarsi, gli passavano davanti agli occhi delle visioni piene di rapimenti, immaginava mille cose, seguiva colla mente tutti gli atti della bellissima persona. Qualche volta usciva di casa e stava cogli occhi fissi sulla finestra illuminata di Teresa, e gli sguardi erano così intensi che pareva dovessero forare i vetri e penetrare nella camera. Spenti il lume ed i rumori, Guglielmo tornava all’officina, vi accendeva una grossa lampada a petrolio appesa al soffitto, empiva la stufa e poi via per delle ore. Che bella luce dava quella lampada per tutta l’officina! Di fuori la neve in faccia alla finestra ne era illuminata per lunghissima tratta; pareva un fiume d’argento fuso che corresse fra sponde fredde e desolate; ma Guglielmo non guardava di fuori; solo nel gran sonno invernale e notturno stava curvo sul banco, maneggiava le assi come fuscelli, le fissava al granchio con una spinta da catapulta, e poi piallando ne faceva uscire dei trucioli eguali, spirali, crespi, che si ficcavano su per la buca della pialla e fioccavano a terra silenziosi e vi si ammonticchiavano. Ah! non cantava più allora, non cantava più, aveva ben altro che fare, e poi a udirlo cantare Teresa avrebbe potuto credere ch’egli volesse farsi sentire, ed al solo pensarci arrossiva come un fanciullo. Era sicuro che Teresa seguiva sveglia il suo lavoro; sapeva che ogni martellata rispondeva nel cuore dell’amante, ma voleva che le giungesse il solo rumore dell’opera; l’opera sola era necessaria e premeva, l’opera costruiva l’edifizio della loro felicit

Tutti pregiavano il Montalto, siccome abbiam detto, uomini e donne, sciocchi e saputi; che più? lo stesso Antoniotto, il senatore, il gran diplomatico dei neri, lo aveva per un giovane di vaglia, del quale si sarebbe potuto far molto. E le sue parole, ci s'intende, si ficcavano anch'esse nell'epistolario della bella marchesa.

Buona pasta di giovani, quei Templarii! Si riscaldavano per una questione di politica, d'arte o di scienza, come tanti e tant'altri per far roba e quattrini; si ficcavano animosi in ogni ginepreto, col medesimo ardore che altri metterebbe a cavarsene. Non c'era forma, non delicatezza d'intelligenza, a cui fossero o volessero rimanersi stranieri; e tutto ciò senza sussiego, senza pedanteria, senza sforzo. In una citt

Ma Lucertolo la teneva stretta con le sue dita, forti come tenaglie, e che le si ficcavano nelle carni floride, dure, prosperose. Lasciatemi! diceva la ragazza con voce soffocata, cercando divincolarsi con sforzi disperati da quella stretta. Ti lascio! rispondeva Lucertolo, mettendosi dinanzi a lei in atteggiamento umile e supplichevole. Ti lascio ad una condizione!