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Guglielmo stava cheto a contare i passi della fidanzata su per la scala, la sentiva entrare in camera, andare e venire via per il tavolato sonoro con quei cento rigiri che fanno le donne prima di coricarsi, gli passavano davanti agli occhi delle visioni piene di rapimenti, immaginava mille cose, seguiva colla mente tutti gli atti della bellissima persona. Qualche volta usciva di casa e stava cogli occhi fissi sulla finestra illuminata di Teresa, e gli sguardi erano così intensi che pareva dovessero forare i vetri e penetrare nella camera. Spenti il lume ed i rumori, Guglielmo tornava all’officina, vi accendeva una grossa lampada a petrolio appesa al soffitto, empiva la stufa e poi via per delle ore. Che bella luce dava quella lampada per tutta l’officina! Di fuori la neve in faccia alla finestra ne era illuminata per lunghissima tratta; pareva un fiume d’argento fuso che corresse fra sponde fredde e desolate; ma Guglielmo non guardava di fuori; solo nel gran sonno invernale e notturno stava curvo sul banco, maneggiava le assi come fuscelli, le fissava al granchio con una spinta da catapulta, e poi piallando ne faceva uscire dei trucioli eguali, spirali, crespi, che si ficcavano su per la buca della pialla e fioccavano a terra silenziosi e vi si ammonticchiavano. Ah! non cantava più allora, non cantava più, aveva ben altro che fare, e poi a udirlo cantare Teresa avrebbe potuto credere ch’egli volesse farsi sentire, ed al solo pensarci arrossiva come un fanciullo. Era sicuro che Teresa seguiva sveglia il suo lavoro; sapeva che ogni martellata rispondeva nel cuore dell’amante, ma voleva che le giungesse il solo rumore dell’opera; l’opera sola era necessaria e premeva, l’opera costruiva l’edifizio della loro felicit

MANGONE. Se la vedeste adesso, non la riconoscereste, cosí son gli occhi scoloriti e le labra smorte e sparito il fior delle guancie. Io son furbo e conosco al naso le sue infirmitá. Ella sta martellata di Pirino; e quando intese ch'era stata compra da voi, trafitta dalla disperazione, le venne quello accidente.

Imperava il dolore. Ah, se si potesse uscire dal dolore come si esce dalle porte cittadine! Il dolore distruggeva la ripugnanza delle vestite bene per le vestite male e assorellava le donne colpite da una sventura comune. Tutte queste mamme, tutte queste spose, tutte queste amanti, tutte queste sorelle vedute assieme storcevano il cuore e facevano venir sulle labbra una parola tragica, una bestemmia brunita dal rancore, una maledizione che si rompeva nella testa col suono della lastra di metallo che la martellata manda in frantumi. Riproducevano l'afflizione, l'ambascia, il dietroscena domestico, il naufragio femminile, la devozione sublime delle donne affezionate agli uomini chiusi laggiù, oltre il portone, al di l

Don Apollinare messosi a giacere per riposare quelle poche ore, le passò fantasticando; e stava per addormentarsi, quando squillarono i tocchi della campana martellata, a stormo da Mattia, il quale colla spranghetta al capo, aguzzava dal campanile gli occhi nel crepuscolo mattutino. Tutta la campagna era un moto di villici; l