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, stamattina. Mortella. Per ciò scoppii d’allegrezza e sembra che mi sguisci di mano. Ti tengo per le ali. La tiene per gli omeri, quasi la scrolla. Poi le parla più basso, con la voce alterata, con una sorta di salvatichezza improvvisa, che sùbito cede. Sei felice? sei felice? La Rondine. Ah, Mortella, Mortella! Mortella. Sei felice?

Guacanagari, sempre attento ai discorsi degli uomini bianchi, come erano tradotti dagli interpetri, e non meno agli atti, ai gesti, ai moti del viso, osservò che quelle notizie facevano scintillar d’allegrezza gli occhi dell’almirante. E noi possiamo intendere più facilmente di Guacanagari come e perchè fosse lieto Cristoforo Colombo.

Del resto, il legittimo orgoglio che poteva dipingersi nel suo viso radiante d’allegrezza, era ancora un giusto omaggio a coloro che in lui avevano creduto, a coloro che lo avevano consolato e confortato nei più tristi momenti della sua vita, nei giorni troppo lunghi e troppo frequenti delle sue amarezze.

Mi vien quasi fatto di coprirlo come quando si para il lume con una mano, perché non lo veda ardere d’allegrezza. Ho quasi vergogna d’esser felice davanti a lei. Mi piacerebbe d’aver sempre gli occhi rossi arrivando e di poterle dire: «Sai, m’hanno fatto piangere, anche me». La Salvestra. Ma non piange mica. Magari piangesse! Lo dice anche il dottore.

Per tanti rivi s’empie d’allegrezza la mente mia, che di fa letizia perché può sostener che non si spezza. Ditemi dunque, cara mia primizia, quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni che si segnaro in vostra püerizia; ditemi de l’ovil di San Giovanni quanto era allora, e chi eran le genti tra esso degne di più alti scanni».

Lo studio di Cristoforo Colombo e de’ suoi piloti fu repentinamente interrotto da un grido d’allegrezza. Quel grido, ripetuto e rinforzato da molte voci, veniva dalla Pinta. L’almirante uscì tosto in coperta, e vide Martino Alonzo Pinzon, ritto sul castello di poppa della sua caravella, che alzava le mani al cielo, in atto di giubilo, gridando a squarciagola: terra! terra!

Le gratificazioni, i compensi, anche per servigi privati, v’erano anche allora: ma portavano altro nome, e alcuni, quello di «toghe d’allegrezza». Nel capitolo sopra il Senato ed i Senatori ne abbiamo detto qualche cosa, anzi più che qualche cosa: il che ci dispensa da nuove spiacevoli indicazioni.

Per tanti rivi s’empie d’allegrezza la mente mia, che di fa letizia perché può sostener che non si spezza. Ditemi dunque, cara mia primizia, quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni che si segnaro in vostra püerizia; ditemi de l’ovil di San Giovanni quanto era allora, e chi eran le genti tra esso degne di più alti scanni».

Vietate fin dall’anno 1776 le toghe d’allegrezza e di lutto, solite di attribuirsi al Pretore, ai Senatori, agli ufficiali nobili per la venuta d’un nuovo Vicerè e per morti illustri, continuava a pagarsene indebitamente il fondo di onze 328.

Mi saluta ogni tronco, e sembra fremere d’allegrezza in sua scorza ed in sue rame. Io salgo