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Siviglia, da cui andarono subito, trovandolo nel convento di San Domenico, era Diego di Deza; bel monaco, dall'aspetto grave, e dal labbro pieno di bont

Quali prove posso io darne a Vostra Eccellenza, io che Le sono appena conosciuto per la presentazione di Diego di Deza? I miei leali servigi a questa Corona furono di buon suddito, e di suddito volontario, il che dovrebbe accrescerne il pregio. Il mio nome è d'antica stirpe di gentiluomini e di cristiani; io vorrei macchiarlo con una menzogna.

Era , sotto la mano, il buon Diego di Deza, dottissimo uomo, savio, e prudente. Parve ottimo anche al re Ferdinando, che con questa trovata aveva l'aria di concedere ogni cosa. Intanto si levava di torno un argomentatore importuno; e guadagnava tempo, che era l'essenziale. Piglia tempo e camperai.

E il nuovo arcivescovo di Siviglia? Diego di Deza? È ancor qui, ma inascoltato. Ferdinando lo venera, ma facendogli sentire che non ha da metter bocca in cose di Stato, specie ora che c'è una Giunta degli Scarichi, che ha ufficio di coscienza, e non può essere turbata da raccomandazioni di nessuno.

Il quale, nella sua stanzetta modesta del palazzo di giustizia, accolse amorevolmente il suo minor collega di Siviglia: ma, come seppe chi fosse il suo compagno di visita, fece la cera un po' brusca. Lo raccomando a Vostra Eccellenza; diceva il Deza, quantunque non sappia bene quel che gli occorra.

Fior d'oro! povera donna cara! che sarebbe avvenuto di lei? come viveva in quelle ore? Il ministro di Ferdinando aveva promesso che sarebbe stata trattata bene, con tutto il rispetto dovuto ad una regina. E il poveretto amava ad ogni tanto richiamarsi a mente le parole del Ximenes. Certo, quell'uomo era debole, come lo aveva giudicato Diego di Deza; ma non si poteva negare che fosse un uomo virtuoso. Debole, finalmente, era fatto dal vivo amore di patria, che i suoi concittadini non mostravano di intendere, e a cui uno straniero era tanto meno obbligato di render giustizia: ma le sue intenzioni erano pure; le aveva chiarite egli stesso, con sincerit

E giunto così alla primavera del 1505, dopo aver scritto in quel modo che sappiamo al conte Fiesco, suo compagno di gloria, così scriveva desolato ad un altro amico, a Don Diego di Deza, fatto arbitro un istante, ma senza frutto, della sua querela col re.

Un filo di speranza era venuto al signor Almirante dalla notizia che Diego di Deza, il dotto domenicano, allora vescovo di Palencia, ma innalzato ad arcivescovo di Siviglia, sarebbe rimasto alcun tempo alla Corte. Diego di Deza era stato l'unico dotto, e perciò l'unico sostenitore di Cristoforo Colombo, nel famoso consiglio degli indotti di Salamanca.

Queste cose, che tanto onoravano il Deza, mandò a ricordargli Cristoforo Colombo: ma è da credere che l'arcivescovo di Siviglia non potesse far più, per l'amico, nessuno di quei buoni uffici che aveva fatti il lettore di filosofia del convento di San Domenico in Salamanca.

A me è grandemente raccomandato dal signor Adelantado, fratello del nostro glorioso Almirante maggiore, che Iddio guardi, e Sua Altezza il re tenga caro com'egli si merita. Il Ximenes stette a sentire con molta rassegnazione il fervorino per Cristoforo Colombo, che con altrettanta soddisfazione aveva proferito il Deza. E cortesemente lo accomiatò, accompagnandolo fino all'anticamera.