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Aggiornato: 13 giugno 2025


Messer Pietro mi ha posto un bel carico sulle braccia! borbottò il Campora, vedendo giungere quel disgraziato. Che vi pare, amico Giovanni? S'ha proprio a caricarne la bombarda, di quel batuffolo di stracci? Perdio! rispose Giovanni di Trezzo. Fate come v'aggrada, Anselmo, poichè il capitano generale v'ha lasciato in governo il panno e le forbici.

L'imposta girò lenta sui cardini, e il Bardineto e Giovanni di Trezzo, afferrando il davanzale, sparivano prontamente nel vano. I quattordici soldati che li seguivano su per la scala, ad uno ad uno, lesti come scoiattoli, guizzarono dentro. Il medesimo avvenne dei loro compagni che erano sull'altra scala, poichè il Bardineto ebbe aperta la finestra all'amico.

E per non indugiarci più oltre, facciamo ritorno alle due donne, rimaste così sbigottite al primo indizio della scalata e dello spandersi dei nemici entro le mura del castello Gavone. Vedremo più tardi Don Giovanni di Trezzo e sapremo che diavol fosse quell'altro tafferuglio che lo faceva accorrere con tanta fretta verso le scale.

Qui ci si potrebbero opporre alcuni fatti, quali sarebbero l'assegnamento di diecimila ducati, che il re fece al municipio per opere di pubblico vantaggio, e il progetto e gli studi per render navigabile l'Adda da Brivio a Trezzo.... Ma son essi fatti sparpagliati, tentativi non effettuati, e che necessariamente debbono rimanere oppressi dalla folla de' fatti contrari.

Frattanto, il nostro bravo Giovanni di Trezzo conduceva madonna Nicolosina, la madre e l'altre donne, a riparo nella chiesuola di San Giorgio, che era dentro al castello, e col

A tale impresa, che richiedeva, oltre il valore, un tal po' di riguardo, imperocchè lassù dimorava il grosso della famiglia, donne, la più parte, e innocuo servidorame, andò Giovanni di Trezzo in persona, col fiore de' suoi. In mal punto fu visto allora da Anselmo Campora il nostro prode Tommaso Sangonetto, che si era poc'anzi imbrancato tra i combattenti.

L'ascensione fu compiuta senza ostacoli. Dietro al Bardineto e a Giovanni di Trezzo s'erano inerpicati quattordici soldati. Poco stante si udì un lieve scricchiolio. Giacomo Pico aveva potuto, mercè la sua precauzione della notte antecedente, togliere una lastra di vetro dai margini di piombo e giungere colla mano al paletto.

La masnada frattanto si accostava con passo guardingo alle mura. Nessun rumore, nessun filo di luce, davano indizio di vigilanza nel castello. Don Giovanni di Trezzo incominciava a meravigliarsi della fortuna, che gli faceva guadagnare così agevolmente un premio di trecento scudi d'oro del sole, a lui promesso dal capitano generale se avesse condotta a buon fine l'impresa.

È tempo di dire, poichè vien proprio a taglio coi fatti che abbiamo raccontati pur dianzi, da che avesse origine quel tafferuglio, che aveva distolto da un ufficio di cortesia Don Giovanni di Trezzo.

E sotto il comando di messer Pietro Fregoso erano venuti in condotta per tutto il tempo che avesse a durare la guerra, Firmiano Migliorati con dugento fanti, Francesco Bolognese con quattrocento, Vecchia da Lodi con cinquecento, Santino da Riva, lombardo egli pure, con altri cinquecento, Bombarda di con trecento, Giovanni di Trezzo con trecento del pari e Pietro Visconte con dugento cinquanta.

Parola Del Giorno

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