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Aggiornato: 6 maggio 2025
«Ah! tu almeno t'arresti quando chiamo, E fai silenzio a queste mie parole. Odon le piante. Mentre leggevamo Nel tuo pensier che ignora ciò che vuole E che per false strade si disperde, Ridemmo, chè sei cieco innanzi al sole. Bello risplende delle frondi il verde Sull'azzurro del cielo, e altero è il fiore, E in vani sogni il tuo pensier si perde,
Stavano da qualche tempo intente a tal lavoro, che di tratto in tratto veniva interrotto da soffi di vento, che agitando e sollevando quella tela le costringeva ad adoperarsi a raccogliersela d'intorno, quando Rina impazientata da tali ripetuti disturbi alzò gli occhi a mirare d'onde venisse quel ventilare importuno, e vide stare sulle montagne di contro un nereggiante nugolone i cui contorni irradiati dal sole, il facevano rassembrare ad un ampio oscuro drappo frangiato in oro steso sull'azzurro del cielo.
Sì: tu remerai e io con la canna lo farò tornare, assentì Brunello gioiosamente. Lasciamolo andar lontano, più lontano ancora, fino ai monti.... E guardava verso ponente le montagne che si disegnavano nere sull'azzurro, e pareva con gli occhi valicare le vette e fissare altri paesaggi sconfinati, altri monti, e fiumi e praterie e valli e citt
Mechinez, distesa sopra una lunga collina, circondata di giardini, stretta da tre ordini di grosse mura merlate, coronata di minareti e di palme, allegra e maestosa come un sobborgo di Costantinopoli, si presentava intera al nostro sguardo, disegnando le sue mille terrazze bianche sull'azzurro del cielo. Non un nuvolo di fumo usciva da quella moltitudine di case, non si vedeva un'anima viva nè sulle terrazze nè davanti alle mura, non si sentiva il più leggero rumore: pareva una citt
Ma Pagiolin accelerando i suoi colpi d'ala si tuffa nell'ultimo globo d'argento filigranato del cirro. Non finisce mai, per Dio!... Gioia! Gioia! Finalmente può patinare col petto sull'azzurro levigato, invitante. Più nulla intorno. Può respirare e godere. Pagiolin punta il suo volo contro il Sole, favoloso colombo di fuoco, dal becco aperto nell'arruffio splendido delle sue smisurate penne d'oro.
Si gira il Molo Vecchio, dietro al quale spunta la foresta delle alberature veliere, un intreccio folto di sartie, di scale e di pennoni che spicca sull'azzurro immacolato del cielo; il mare scherza in mille modi sugli scogli intorno alla lanterna. Allegri squilli di tromba vengono da due navi da guerra ancorate al Molo Lucedio; dei canti lontani pare che si chiamino.
La notte, scendendo, aveva disteso sull'azzurro profondo un velo denso e continuo, come lenzuolo di morte presto a calare sopra un cadavere. Un soffio gelato passava di tempo in tempo senza rumore sulla vasta campagna. Le lunghe e folte erbe piegavano, mute anch'esse, sotto quel soffio.
È sera. In fondo alla scena, comincia il bosco. I rami delle querce si confondono e, di lontano, paiono formare come una gran muraglia il cui orlo frastagliato si disegna sull'azzurro scuro e vaporoso del cielo. Verso la sinistra del bosco, un sentieruolo tortuoso sale e serpeggia tra l'erba selvatica. Più in qua, dallo stesso lato, si perde, tra gli alberi, il cortiletto quasi elegante d'un villino bianco, di cui non s'intravede che la facciata posteriore, senza finestre. Dirimpetto, a destra, un altro villino, più in vista, con la porta chiusa. Qua e l
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