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Onde sott'altro ciel giovani e folti Sorser mutati, e fûro Da inconscia man moltiplicati e còlti. O gente cieca, a cui pur l'oggi è oscuro Voi de l'Arìana pianta Siete due rami, in faccia al Ver lo giuro. L'un s'infrondò su'l Campidoglio, e tanta Arbore al ciel spiegossi, Che cadde alfin dal proprio peso affranta.

Non odi L'aura del generoso inno, che, schivo Di tanti ingrati, osa innalzar tue lodi? Leva dal tuo recente Sepolcro il capo, e guarda ove ancor vivo. Più del ricordo, è dei tuoi prodi il sangue. Qui pugnâr, qui morîr, qui di fulgente Serto ornò Italia il crine, Qui le genti latine Si unîr d'un patto in su'l nemico esangue. Mira!

Il luminoso Auspicio accolse e giubilonne in core Lucifero; tra' folti alberi un varco Esplorò disïando, e il passo stanco A un villaggio contenne: un mucchio informe Di povere capanne, una su l'altra Addossate su'l fianco a una montagna, Che di bosco e di nubi il capo ombreggia, E giù giù fino al mar scende e digrada.

Cadd'ella , ma non di fiori e d'erbe Guancial trovò sul molle suol proteso, le miti verbene e le superbe Rose andâr liete del vergineo peso: Ben ei l'amante Pellegrin le acerbe Forme accoglie su'l petto ansio ed acceso, E gli spiriti erranti in su le chete Labbra le avviva, e geme, e le ripete: Amiam, fanciulla, amiam: sia piano o monte, Sia valle o mar, vivrem l'un l'altro appresso; Non v'è serto miglior d'un bacio in fronte, Non v'è laccio miglior d'un primo amplesso; Ci specchierem dentro a la stessa fonte, Sognar potrem sovra il guanciale istesso; Come ad olmo consorte edera o vite L'alme unirem sovra a le bocche unite.

Tal su l'altro di nembi ira sfrenossi, Che le pigre ombre e 'l gelo Fuggendo e da pugnace indole mossi I suoi fieri cultor sott'altro cielo Ruppero, e fûro al corso Tigri, e demòni al fulminar del telo. Serrate, o stolti, a l'ire orrende il morso; E più dei truci acciari Abbia su'l vostro cor punta il rimorso!

O prima reggia del Pensiero, augusta D'idee madre e di genti, Patria del gener nostro Asia vetusta, A te col grido dei perfetti eventi, Vetusta Asia, il saluto La libera Germania alza su' venti. Odi: stridono ancor su'l combattuto Reno i miei plaustri; echeggia Il mio vittorïoso inno temuto; E con securo il vol come in sua reggia Quant'è di cielo intorno Di Brandeburgo l'aquila passeggia.

Saldo negli anni, occulto Ne l'ombra e tutto cinto D'armi e d'insidie, il piè dentro al profondo Petto d'Adamo, il capo agli astri, il grido Ai poli, eterno si tenea l'infido Pescator Galilèo reggere il mondo. Ma come avvien, che, rósa Dai secoli e dal mare, entro il mar crolla A nuovo urto di turbo ispida rupe, Che negra e minacciosa, Riprodotta da l'onda, al navigante Pendea su'l capo, e gli oscurava il core; Tal, pugnato dagli anni e più da questo Eterno flutto del Pensier, che invade Ogni creata cosa, Trema, balena e cade Il doppio soglio a Libert