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Aggiornato: 5 maggio 2025


La signora Caterina si soffiava il naso, e diceva, facendo l'indifferente: «C'è una nebbia quest'oggi che la si taglierebbe col coltello». Mio padrigno aveva la parrucca di sghembo coll'incavo d'un orecchio in mezzo alla fronte; segno di gran turbamento di spirito. Uscì subito colle zitellone.

Aveva un salotto. Il locale più angusto, più mal situato del quartierino; un buco da cui non si sarebbe potato cavare nessun partito; una stanzuccia di passaggio. Le stoffe dei mobili sbiadite, i legni senza lucido, le cornici scrostate, s'univano alla signora Giuditta per affermare che avevano veduti tempi migliori. Sopra una scansìa facevano bella mostra delle confettiere di cartone scolorito, qualche pezzo d'argento Cristophle che ricordava l'incoronazione di Napoleone primo, e delle chicchere di porcellana, vecchie senza essere antiche, religiosamente coperte da un velo verde, che doveva aver fatto cinquant'anni prima il viaggio da nozze sul cappello di qualche sorella della proprietaria. Disopra al camino eternamente spento, fra molte fotografie ingiallite, era appeso in una cornicina di cartone, qualche cosa come uno specchietto vecchio a cui mancasse in più luoghi la foglia. Quello specchietto era stato altre volte un dagherrotipo che, collocato di sghembo, con un raggio di sole che lo battesse in diagonale, in un dato punto della stanza, ed in certe ore speciali, rifletteva un non so che, come un profilo intagliato nell'acciaio. Ma il tempo aveva cancellato ogni cosa; e non rimaneva che un vetro macchiato, sul quale soltanto l'entusiasmo cieco della signora Giuditta s'illudeva di vedere il ritratto del Modena, il pigionante illustre fra gli illustri, che aveva fatta la gloria della sua casa. Quel salotto, l'affittacamere lo metteva a disposizione de' suoi pigionali; preferiva che ricevessero l

Il semplice Spirto frattanto ignori Quel che prepara il cielo.... Or or giunse alla bettola E cionca tra i pastori Cieco d'un occhio un uom dal rosso pelo. Tonda la faccia ed ilare, Nude le braccia, a sghembo Sul ciglio alza il cappello; Mentre affilato luccica Nel rovesciato lembo Di sanguinosa tunica il coltello. Sogna, agnellino, e dissipi L'alterne orrende voci A te pietoso il vento,

Poco stante entra Catone dall'intercolonnio, colla toga a sghembo, di cui tenta ravviare i lembi sugli òmeri. Erennio lo saluta, abbassando il fascio infino a terra. CATONE e ERENNIO Ma si può dar di peggio? Vedete come mi hanno stazzonato quelle Megère. E mancò poco non mi facessero a brandelli la toga! Che hai, prestantissimo Console? La repubblica avrebbe ricevuto in te alcun detrimento?

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