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Aggiornato: 26 maggio 2025
Io piangeva, udendo questa parola. Egli non soggiungeva nulla, lasciandomi piangere, asciugando le mie lacrime col suo fazzoletto, con un moto gentile quale dovette esser quello di Veronica con Gesù, carezzando fugacemente i miei capelli, come benedicendomi. Non altro. Lentamente, le mie lacrime s'inaridivano, la mia anima si quietava e io comprendeva che, ancora una volta, l'amore di Giustino Morelli era stato il mio unico conforto. Tornavo a casa tranquilla, con una novella forza in me e con una lieta luce negli occhi. Mio marito mi guardava, diffidente: e la sua diffidenza lo spingeva all'ira, e nell'ira egli m'infliggeva una di quelle brevi o lunghe scene che erano il tossico della mia vita. Che importa? Io aveva il contravveleno. Chiusa nella sublime fiducia dell'amore che Giustino Morelli mi portava, sapendo che vi era nel mondo, nel vasto mondo così deserto di ogni gioia, qualcuno che mi voleva bene, che mi adorava in una dedizione continua di sè stesso, io opponeva a mio marito una glaciale indifferenza. Mio marito mi lasciava: io andava nella mia stanza, mi buttava sul letto, con la bocca sul cuscino per poter ripetere il nome soavissimo di colui che era il mio salvatore. Tutta l'anima mia, allora, si prostrava, si abbandonava, in un'estasi di tenerissima gratitudine per il beneficio di quell'amore che era il liquore essenziale di ogni mia forza. Non sapendo come sfogare ciò che mi soffocava, trovavo modo di scrivergli, lungamente, confusamente, delle lettere che, spesso, dovevo lacerare senza potergliele inviare: raramente, arrivavo a spedirgliene una. Di lontano, io calcolavo sentimentalmente che effetto gli avrebbe fatto la prova che il cuore di Anna, della sua Anna, gli apparteneva e si dava a lui, novellamente e sempre con entusiasmo. Ma i miei calcoli sentimentali fallivano spesso. Io non lo rivedeva subito. Egli non mi rispondeva mai. Finivo per non sapere nulla. Dimenticavo la mia lettera. Quando, per una scarsa e fortunata combinazione, mi ritrovavo con lui, non gli parlavo più di nulla, felice solo di essere accanto a lui. Sentivo che l'impetuosit
E lì, a Napoli, gemme l’una più dell’altra preziosa, queste dame componevano la corona della altera Maria Carolina, confermando con la loro presenza l’antica reputazione del tipo estetico dell’Isola: forme giunoniche e taglie mezzane, volti rosei ed ardenti e visi sentimentalmente pallidi, chiome dai riflessi dell’ebano alternantisi con le bionde oro, grandi occhi neri lampeggianti allato a languidi cerulei, quali più, quali meno, imperiosi e carrezzevoli, dalle interrogazioni rapide e dalle meste vaghezze d’un sogno.
E mentre il Casalbara finiva coll'innamorarsi sentimentalmente di tutte quelle ragazze e finiva col pagarle care per la compiacenza di credersi corrisposto, l'altro s'imponeva minacciando, le intimoriva, le maltrattava, riusciva a destare dei brividi di ribrezzo dove non c'era più da vincere alcun pudore.... e non pagava.
Ebbene, ella si accorgeva che negli accasciamenti della sua febbre d'arte, in quegli accasciamenti in cui tutti i mortali chiedono soccorso di tenerezza, ella non poteva consolarlo. Sensibilissima sentimentalmente, ella misurava col cuore timido e trepido questa sua impotenza e la esagerava. Quel male ignoto e quel dolore ignoto traevano origine da radici di profonde e sconosciute infermit
Filosofava così per distogliersi dall'idea di scappare da quell'albergo straniero, accorrere da lei, gettarsele ai piedi e chiederle perdono!... Inoltre, chi poteva proprio assicurarlo che egli giudicasse dirittamente ora e non allora? Come discernere, con certezza, se la misteriosa malattia che lo faceva così sentimentalmente fantasticare provenisse da profondo dolore per grave delusione, o da dispetto di orgoglio e di vanit
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