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La contessa Bianca andava da tempo accarezzando l'idea d'un matrimonio tra suo figlio e Giselda Fioresi, buona e bella ragazza, di eccellente casata; e la notizia le rompeva il sogno e la sbalestrava in un mare d'incertezze e di dubbii. Fu necessario spiegarsi, riparlar di Loredana, discutere un amore che la vecchia dama avrebbe voluto obliare.

La vista della stazione e dei fabbricati che l'attorniavano era anch'essa perduta nella lontananza: solo una punta di vivo fuoco rosseggiava in cima a un disco. Fremente, febbricitante, egli andava, andava, col proposito, col bisogno di raggiungere il bivio del Saliceto, di sapere qualche cosa di preciso; ma più s'inoltrava, più l'inquietudine, l'ansia, la paura gli facevano tremare il cuore. Quantunque la via ferrata fosse una guida infallibile, gli pareva di non poter più trovare quel bivio, d'essersi avviato sopra un altro binario, d'aver lasciato la buona strada. Perduta la nozione del tempo, credeva d'aver percorso chilometri e chilometri, d'essersi dilungato enormemente, d'aver marciato da ore: l'orologio, che aveva dimenticato di rimontare, non andava più. La linea non doveva esser libera, ormai? Il convoglio non stava per sopravvenire, precipitoso, inarrestabile, portandosi via la creatura amata, lasciandolo solo in mezzo alla campagna muta ed oscura? La prudenza consigliava di tornare indietro, di raggiungere la stazione, di aspettare , tranquillamente, come gli altri viaggiatori, come i due sposi in viaggio di nozze; ma allora, rivedendo con la mente quella coppia felice, egli sentiva più acuta, più tormentosa, più intollerabile tutta la propria pena. Spasimava da due mesi, dal giorno in cui era giunto l'avviso dell'arrivo del marito, ma non mai come ora. Se per un istante, al pensiero dell'imminente incontro con la diletta, aveva potuto illudersi sperando nel ritorno dei giorni felici, ora, nelle tenebre addensate col tramonto della falce lunare, nel sonno silenzioso della terra, nella solitudine inanimata di quegli ignoti luoghi, l'inganno riusciva evidente. Che vita era questa che lo sbalestrava fuori della sua casa, fuori del suo paese, che lo faceva errare a quell'ora per la campagna, aspettando un treno arrestato da un improvviso pericolo? Superato quello, quali altri, quanti altri sarebbero sorti? Rosanna andava a raggiungere ancora una volta il marito: dove, come, quando, per quanto tempo l'avrebbe rivista? Quell'uomo sarebbe ripartito, forse, ma per ritornare; il tempo della sua lontananza se ne sarebbe volato via, come se n'era volato tant'altro. La serena fiducia, la certezza del possesso assoluto, della comunione perfetta non era possibile senza l'unione che egli aveva dichiarato di non voler contrarre neppure ipoteticamente, e che sempre, prima di quell'amore, aveva giudicata odiosa e repugnante. Allora tutta la sua vita sentimentale, dai primi albori, dagli ingenui amori dell'adolescenza alle fiamme della giovinezza, gli passò per la memoria: quante prove fallaci, quante illusioni perdute, ritrovate, riperdute ancora, fino a quest'ultima! Stanco, vecchio, morto, il suo cuore aveva palpitato ancora una volta grazie alla creatura miracolosa; egli aveva gioito, sofferto, vissuto per lei; comprendeva che dopo di lei non avrebbe potuto più ricominciare, e che, quand'anche, mai più avrebbe trovato un'anima simile a quella; sentiva che tutti questi motivi lo spingevano ad afferrarsi a lei, disperatamente; ed a quell'ora, con quell'ansia nel cuore, ecco, finalmente riconosceva che il legame solenne, sancito, benedetto, era il solo che potesse umanamente garantire il possesso; e nulla gli pareva più desiderabile e degno che prendersi Rosanna, unirsi a lei per la vita e per la morte, dare al mondo lo spettacolo della loro felicit