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Mentre altri trionfa descrivendo i costumi giapponesi e la vita dei grandi alberghi cosmopoliti, Alfonso Daudet conquista la gloria descrivendo il Mezzogiorno, scoprendo Tarascona, creando Tartarin e Numa Roumestan. C'è dunque posto per tutti.

Numa Roumestan ha un valore per la storia dell'ingegno artistico di Alfonso Daudet: segna il punto di partenza della sua ultima evoluzione. Si era smarrito, per qualche tempo, dietro gli allettamenti del romanzo, diremo di circostanza, col Nabab e Les Rois en exil e vi aveva profuso tesori di osservazioni e di descrizioni che daranno a questi lavori il pregio di documenti storici in avvenire; era fallito nella terza prova con L'Evangéliste. Ora, col Numa Roumestan, pur cedendo un'ultima volta alle lusinghe di un soggetto che lasciava trasparire qua e l

E il Tartarin che scrive come ride delle famose gesta del Tartarin eroe che gli balza vivo da ogni pagina, gesticolante, ebbro delle sue stesse madornali fandonie, dalle quali egli si lascia illudere con pienissima buona fede, quasi quanto gli altri a cui le sballa! Numa Roumestan è un Tartarin più elevato, ma artisticamente meno sincero.

Ha avuto un colpo di sole; ha visto il Gambetta nel colmo della sua potenza e n'è rimasto abbagliato. Infatti, nei primi capitoli del romanzo il lettore non può far a meno di pensare al Gambetta; i nomi cambiati non riescono a ingannarlo. Aps è Aix; Numa Roumestan è il gran latino che ha conquistato nuovamente la Gallia. «Quella festa del concorso nazionale nell'arena d'Aps (mi sia permesso ripetermi) sotto il sole cocente, con quella folla in ammirazione davanti al grand'uomo di provincia, Numa Roumestan, che distribuisce a destra e a manca saluti alla buona, strette calorose di mano, incoraggiamenti e promesse d'ogni sorta mentre le bande strepitano e i contadini si slanciano a ballare la farandole al suono del piffero e del tamburo del Valmajour, primo tamburinaio della Provenza; quella festa ci richiama alla mente altre riunioni della stessa natura, delle quali abbiamo letto le descrizioni nei giornali, quando il latino dalle larghe spalle e dalla parola possente andava attorno per convertire le turbe al suo vangelo opportunista. Poi si torna indietro, assistiamo ai primi passi del grand'uomo nella carriera politica. Quella testona dalla nera capigliatura che gli mangia met

La razza! La razza! Ed egli incolpa il Roumestan delle cose più semplici e più innocue, quasi nessun parigino fosse mai capace di dire una sola di quelle piccole bugie, che sono, più che altro, espressioni di convenienze sociali! Così Numa fa la corte alla figlia di un Consigliere della Corte d'Appello; non l'ama, ma gli sembra conveniente sposarla.

L'autore però, che non avea preso sul serio Tartarin, che lo aveva accompagnato con un benevolo sorriso di compatimento e con risate quasi di ammirazione dalla sua partenza per Algeri fino al trionfale ritorno in Tarascona assieme col famoso cammello che ha voluto seguirlo a ogni costo, commette lo sbaglio di accigliarsi, di sdegnarsi a ogni atto e a ogni parola di Numa Roumestan, e ha incaricato l'antipatica parigina, moglie di Roumestan, di far la parte di moralista.