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Aggiornato: 2 giugno 2025
E solo quando i rematori spalarono perchè la chiglia, scorrendo sulla rena, approdasse con dolcezza, Duccio rispose: Prima di partire avrò bisogno di parlarle. Ne chiederò il permesso a sua madre. Nicla lo fermò con un gesto. È inutile! osservò. So gi
I rematori vogavano faticosamente, ma con arte consumata sapevano ora evitare, ora utilizzare abilmente le onde più grosse e più alte. Allora capii veramente che cosa fosse una barca equilibrata e la nostra poggiava fissa e sicura sui suoi quattro remi, che insieme sembravano servirgli come braccia e come ancora.
«Ma che con questi quattro robusti rematori, la Sirena che gareggia coi venti, non raggiunger
Il sole incendiava tutto il fiume, appena inclinato verso il cielo occidentale dove sorgevano vapori violetti. Si vedeva ora su la riva un gruppo di gente che gesticolava; ed erano i mendicanti a torno all’idiota. A tratti, col vento giungevano anche lembi di parole e di risa simili a un’agitazione di flutti. I rematori, nudi il busto, vogavano a gran forza per superare il filo della corrente.
In tanta confusione non essendo possibile alla barca in cui trovavasi il Marchesino d'accostarsi sì d'appresso al gran battello da potervi salire, ordinò ai rematori s'aggirassero a quello d'intorno onde la Contessina ne potesse esaminare la mole esterna, la lunghezza, l'altezza, gli ornati, le ruote.
In ginocchio sulla prora della sua svelta ed elegante bissona, sotto un baldacchino tutto veli e frangie inargentate, il contino Bollati animava i rematori col gesto e con la voce, e pareva un antenato di sè medesimo alla battaglia di Lepanto.
Verso il mezzodì del giorno seguente tutti i lavori d'attrezzo e di carico intorno alla flotta erano compiutamente finiti, ed ogni armamento messo in perfetto sesto, onde i capitani, i soldati ed i rematori non si diedero altro pensiero pel rimanente della giornata che di nutrirsi e starsi in riposo.
Circondato questi da quattro navi nemiche, travagliava faticosamente a difendersi in ispecial modo da prora, ove il martellava la squadra comandata dal castigliano Enrico Nedena, che sconquassate quante borbote, piatte e barche minori scortavano e facevano scudo a quel legno che capitanava l'antiguardo, voleva a forza impossessarsene e condurlo prigioniero. Il comandante Borserio aveva pugnato con portentosa avvedutezza e coraggio, ma tutto l'ardir suo e la bravura non erano stati bastevoli a sottrarlo al riboccante numero degli assalitori che da quattro parti il bersagliavano: le sue bombarde erano smontate, l'albero infranto, spezzati i banchi dei rematori, spezzato il timone, tutto il ponte pieno di moribondi e d'uccisi, per cui i lacerati fianchi del Busto-di-ferro grondavano sangue. Il Borserio, benchè ferito in più parti, animando colla voce quello spizzico rimastogli de' suoi, ruotando disperatamente la spada teneva lontani ciò non per tanto i Ducali, che, gettati dalle loro navi i roncigli, tentavano di venire all'arrembaggio. L'arrivo col
Stette per tal pensiero in angustie sino a tanto che veduti sulla destra riva alcuni splendori che davano indizio esser quivi luogo abitato, udendo dai rematori bisbigliarsi "Bellaggio", conobbe trovarsi in paese amico, e benchè il navigar pel buio gli andasse poco a grado, deposta quella maggior paura, lasciossi vincere dal sonno e a poco a poco addormentossi profondamente; nè si risvegliò che allorquando ricevette una forte scossa provenuta al navicello dall'urtar che fece alla sponda.
Quando a braccia tese fanno leva sulle pale affondate, i rematori rovesciano le facce bianche sotto una doccia di latte immateriale. Bevono un sorso lungo poi rapidamente insieme si leccano le labbra colla lingua di rubino acceso, serpentello di fuoco sull'argento del viso.
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