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Aggiornato: 12 maggio 2025
Così orrevolmente scortati, sotto gli occhi di un popolo curioso che si affollava sul loro passaggio e della loro venuta non pronosticava niente di buono, erano riusciti alla porta settentrionale del borgo; d'onde, per una ripida strada serpeggiante sulla costiera del monte, erano saliti in vista del castello Gavone, dove i marchesi del Carretto, terzieri del Finaro, avevano corte e dimora.
È inutile ripetere i commenti che se ne facevano sul luogo e la sorte che si pronosticava a quel grullo di Menico.
Per l'ingegnere Aldini, Girolamo valeva incomparabilmente meglio degli altri; Diana ne riconosceva i meriti, ma non trovava giusto di deprezzar i fratelli più giovani. E si accalorava a difenderli contro lo zio il quale pronosticava che non avrebbero cavato un ragno dal buco. A un tratto ella s'interruppe e domandò: Perchè sorridi? Nulla. È una sciocchezza. Sentiamo. Effetti dell'ambiente.
Per quale intima associazione d'idee non si potrebbe ora ben dire, il giovine Manzoni domanda quindi all'Imbonati, se sia vero quello che di lui si va dicendo, ch'egli abbia, cioè, disprezzato i poeti e le Muse. Ma l'Imbonati è pronto a soggiungere che gli furono venerandi e cari Vittorio Alfieri e Giuseppe Parini, ma ch'egli disprezza, invece, i poeti triviali, arroganti, viziosi, di perduta fama, i quali fanno un vergognoso mercato di lodi e di strapazzi, e dai quali si attende una vecchiaia oscura e ignominiosa; e qui forse il Manzoni mirava ancora al cavaliere storiografo Vincenzo Monti od all'improvvisatore Francesco Gianni che viveva a Parigi, e metteva in verso i bollettini delle vittorie napoleoniche. La vecchiaia dell'Autore della Bassvilliana e della Mascheroniana fu, pur troppo, quale il Manzoni la pronosticava ai venali poeti, dai quali egli abborriva; al Gianni fu invece, dopo la caduta di Napoleone, conservata la sua lauta pensione. Udite, pertanto, le generose parole dell'Imbonati, il Manzoni prorompe egli stesso e conchiude stupendamente il Canto: Gioia il suo dir mi prese, e non ignota Bile destommi; e replicai: deh! vogli La via segnarmi, onde toccar la cima Io possa, o far che, s'io cadrò su l'erta, Dicasi almen: su l'orma propria ei giace. Sentir, riprese, e meditar; di poco Esser contento; dalla mèta mai Non torcer gli occhi; conservar la mano Pura e la mente; delle umane cose Tanto sperimentar, quanto ti basti Per non curarle; non ti far mai servo; Non far tregua coi vili; il santo vero Mai non tradir; nè proferir mai verbo, Che plauda al vizio, o la virtù derida. O maestro, o, gridai, scorta amorosa, Non mi lasciar; del tuo consiglio il raggio Non mi sia spento, a governar rimani Me, cui natura e gioventù fa cieco L'ingegno e serva la ragion del core. Così parlava e lagrimava; al mio Pianto ei compianse, E, non è questa, disse, Quella citt
Luigi XIV, come suo padre Luigi XIII, si può dire, che aveva completata la sua educazione danzando simili balletti, ed è facile comprendere che tal genere di ricreazione non era punto fatta per favorire la purezza del cuore nel giovane re. Nondimeno Luigi XIII aveva in parte smentito il vaticinio che si pronosticava dalla natura dei suoi primi divertimenti, e soprattutto dalla immoralit
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