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Aggiornato: 3 luglio 2025


DON FLAMINIO. Cosí vo' fare. PANIMBOLO. Ma ecco la peste de' polli, la destruzione de' galli d'India e la ruina de' maccheroni! LECCARDO parasito, PANIMBOLO, DON FLAMINIO. LECCARDO. Non son uomo da partirmi da una casa tanto misera prima che non sia cacciato a bastonate?...

Lo vo' lassar per l'ultimo, ché son risoluto non viver senz'ella o sua sorella. PANIMBOLO. Voi trattando per via del parasito e con lettere e per modi cosí disconvenevoli, in cambio d'amarvi vibrará contro voi fiamme di sdegno, perché stimará esser oltraggiata da voi ne' fatti dell'onore. DON FLAMINIO. Non vedi Leccardo come sta allegro? PANIMBOLO. Averá bevuto soverchio e sta ubbriaco.

DON FLAMINIO. Andiamo a cenare e verremo quando sará piú imbrunita la notte. DON IGNAZIO. Andiamo. DON FLAMINIO. Andate prima, ché verrò dopoi. PANIMBOLO. Giá è gito via. DON FLAMINIO. Panimbolo, a me par che la cosa riesca bene. PANIMBOLO. Avete finto assai naturale. Mi son accorto che la gelosia li attaccò la lingua che non possea esprimere parola.

DON FLAMINIO. Dici assai bene; e or ora vo' gir a trovarlo e fargli l'ambasciata. PANIMBOLO. Ascoltate: dateli la nuova con gran allegrezza e mirate nel volto e negli occhi, osservate i colori ché ne cambierá mille in un ponto: or bianco or pallido or rosso, osservate la bocca con che finti risi; in somma ponete effetto a tutti i suoi gesti, ché troverete quanto ve dico.

Io non vo' andar incontro alla fortuna, restar cosí vinto alla prima battaglia lasciar cosa intentata fin alla morte. PANIMBOLO. Orsú, facciasi tutto il possibile, ch'avendo a morire, quando s'è fatto quanto umanamente può farsi, si muor piú contento. Andiamo in Palazzo, informiamoci del fatto. Leccardo, trattienti da qua intorno, ch'avendo bisogno di te non abbiamo a cercarti. Va' e vieni.

Di piú, non è mai giorno che non passi mille volte per questa strada dinanzi alla sua casa. DON FLAMINIO. Io non ve l'ho incontrato giamai. PANIMBOLO. Deve tener le spie per non esservi còlto da voi; e quella arte, che voi usate con lui, egli usa con voi. Ma io vi giuro che quante volte m'è accaduto passarvi, sempre ve l'ho incontrato.

PANIMBOLO. O Dio, non v'è stato affermato per tante bocche di persone di credito che non sieno persone in Salerno piú d'incorruttibil onestá di queste, e che invano spera uomo comprarse la loro pudicizia? voi in tanto tempo che la servite ne avete avuto un buon viso. DON FLAMINIO. Tutto questo so bene. Ma che vòi che faccia? non posso voler altro, perché cosí vuole chi può piú del mio potere.

DON FLAMINIO. Ecco, o Panimbolo, che, tu non avendo voluto credere a quanto io te diceva, che don Ignazio non s'accorse quel giorno di Carizia e che è molto invaghito della figlia del conte, per far a tuo modo e per iscoprir l'animo suo, l'avemo detto che il matrimonio con la figlia del conte era conchiuso; e vedesti con che pronto animo e con che accesa voglia volea sposarla allora allora e non aspettar in sino alla sera.

PANIMBOLO. Bisogna far presto, ché don Ignazio è d'ingegno destro e vigilante: se non si previene con prestezza, si torrá Carizia. «Chi non fa conto del tempo perde le fatiche e le speranze dell'effetto». DON FLAMINIO. Or mi par ogni indugio una gran lunghezza di tempo: s'avesse le podagre, saria venuto.

DON IGNAZIO. Mandiamo a vedere. DON FLAMINIO. Panimbolo, va' a casa del conte. DON IGNAZIO. Vien qua, Avanzino, va' a casa del conte e vedi se il conte de Tricarico è in casa. DON FLAMINIO. Essendovi, andrò ad avisarlo io prima, verrò a trovarvi e vi andaremo insieme. DON IGNAZIO. Noi dove ci trovaremo? DON FLAMINIO. In casa. DON IGNAZIO. Andate, orsú.

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