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Aggiornato: 19 giugno 2025
In mezzo a quel guazzabuglio di pini, di cedri, di abeti, di criptomerie che si rizzano svelte e spigliate come colonne, si sarebbe creduto trovarsi nella moschea di Cordova di cui si è fatta una cattedrale! Il sole, a traverso i rami, zebbrava il suolo di rabeschi fantastici. La mandevillea, dai grossi mazzi di fiori bianchi che olezzano il gelsomino, invadeva quelle colonne.
Per dare un'idea del suo interno e del suoi abitanti la percorreremo partendo dall'estrema punta dell'isola a levante, dove si innalza un piccolo forte con caserma, da un lato, e la Missione cattolica tenuta da sacerdoti francesi, dall'altro: si attraversa in seguito uno spazio occupato da grandi cisterne scavate, dove si raccoglie l'acqua delle piogge, e da qualche tomba di mussulmani: a sinistra lasciamo qualche meschino gruppo di capanne per vedere sulla destra alcune abitazioni in pietra di carattere arabo, una moschea, l'ufficio di sanit
La moschea di Cordova, che venne ridotta a Cattedrale dopo la cacciata degli Arabi; ma che è pur sempre moschea, fu costrutta sulle rovine della cattedrale primitiva, poco lontano dalla sponda del Guadalquivir. Abdurrahman ne cominciò la costruzione l'anno 785 o 786.
Tale è la moschea d'oggigiorno. Ma quale doveva essere al tempo degli Arabi! Non era chiusa intorno intorno da un muro; ma aperta, in modo che da ogni sua parte si vedeva il giardino, e dal giardino si vedeva fino in fondo alle lunghissime navate, e l'aria spandeva fin sotto le volte della Maksura la fragranza degli aranci e dei fiori.
Abbiamo così attraversata l'isola nella sua lunghezza; proseguiamo sulla diga, e appena messo piede in Tau-el-hud vedremo la palazzina del governatore generale, l'ufficio telegrafico, una moschea, il pozzo dove giunge l'acqua portatavi con canali dalla montagna, e attorno al quale formicolano centinaia di ragazzi e ragazze che empiono le loro otri o le loro pelli, se le caricano sulla testa, sul dorso o sui somarelli, e per pochi quattrini le trasportano in citt
Avvicinandomi al muro mi sentii mancar sotto il pavimento: il marmo è incavato! Uscendo dalla nicchia, mi arrestai lungo tempo a contemplare la vòlta e le pareti della cappella principale, la sola parte della moschea che si conservò quasi intatta.
Io credetti che fosse una fortezza. Era il muro che cinge la moschea, un vecchio muro merlato, nel quale s'aprivano una volta venti grandi porte di bronzo, contornate di bellissimi rabeschi, e di finestrine arcate, rette da sottili colonne: coperto ora da un triplice strato di calce. Un giro intorno a quel muro di cinta è una passeggiatina da farsi dopo desinare: si giudichi della vastit
Nello spazio di questo cortile, che è amplissimo, sorgeva l'antica moschea che si crede sia stata costrutta verso la fine del secolo duodecimo. Ora non ne rimane più traccia.
Inalziamo una moschea, egli disse, che vinca quella di Bagdad, quella di Damasco e quella di Gerusalemme; che sia il più grande tempio dell'Islam, che diventi la Mecca d'Occidente.
Il Ministro del Belgio c'invitò ad assistere allo spettacolo dal terrazzo di casa sua, che guarda sulla strada principale di Tangeri, dove sogliono passare gli Aïssaua per andare alla moschea. Dovevano passare alle dieci della mattina, scendendo dalla porta del Soc di Barra. Un'ora prima, la strada era gi
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