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Aggiornato: 20 giugno 2025


LIMOFORO. Vostro figlio a tempo che studiò a Salerno, s'innamorò di mia figlia stimata allora figlia d'un maestro di scuola; e sapendo ch'oggi veniva in Napoli per passare in Roma e che doveva alloggiare al Cerriglio, trasformò la vostra casa in taverna con l'aiuto d'un suo servitore chiamato Cappio,

PSEUDONIMO. Di Surrento, se ben ho abitato in Napoli. LIMOFORO. Quando venisti in Napoli? PSEUDONIMO. Iersera. LIMOFORO. La cagione? PSEUDONIMO. Ebbi novella ch'una mia figliuola e balia che gran tempo non avea viste, erano in Napoli. LIMOFORO. Come le perdeste?

LIMOFORO. Poiché non potiamo entrare nell'altrui case senza licenza del Regente, andiamo, informiamolo del fatto, ché ne doni licenza d'entrare in casa sua e porgli le mani adosso. LARDONE. Andiamo a dormire. PEDANTE. Abbiam piú voglia d'uccidere che di dormire.

LIMOFORO. Io non son per mancargli di compassione se non mi si mancherá di dovere da vostra parte: ben sapete le sodisfazioni che si cercano in simili offese. GIACOCO. Bella faccia mia, te puoi nformare in chesta cittate ca dintro lo parentato mio no nc'è quarche chiavettiere o sosomellaro; se no te sdigni d'apparentare co mico, io te lo do pe schiavuottolo ncatenato.

GIACOMINO. Ed ancora io voglio aver del grande: di cotanto perdono restarvene in tutta la vita obbligatissimo. LIMOFORO. E vo' che ancora voi abbiate del grande in perdonare a me, che abbi commandato a prendervi prigione; ché, or sapendo le rare qualitá che in voi sono, come gentiluomo di onor che sète, considerate che in cosa dove vi sia l'onore, non si porta rispetto a persona alcuna.

LARDONE. Io per dubito di non aver a restar senza cena e senza sonno, ero quasi morto. PEDANTE. Tu non hai mangiato e bevuto tanto questa mattina? LARDONE. Quello è giá digesto. LIMOFORO. Perché andar disperso a quest'ora? PEDANTE. Lo saprete a bell'aggio in casa, ch'or sto «in cimbalis male sonantibus», che per disperazione volea buttarmi in un sarcofago.

LIMOFORO. Giacoco, presentiamo vostro figlio dinanzi a voi, acciò voi ne siate giudice d'aver a punirlo o liberarlo. GIACOCO. Io no saccio la cosa commo è iuta: sciarvogliatemi lo gliuómmero dallo capo, ca po ve responderaggio.

CAPPIO. Non si perda piú tempo: andiamo al Cerriglio e cerchiamo questo futuro nuovo Limoforo. LIMA. Giacomino mio, vi raccomando la mia figlia. GIACOMINO. Non bisogna raccomandare a me le cose mie l'anima al suo corpo. Cappio, batti la porta. TEDESCO. Chi stare quelle grande asine che battere le porte delle mie ostellerie con tanta furia? CAPPIO. Son io; apri.

LIMOFORO. Dico che a puntino accadde questo a me nel tempo della peste di Napoli; e quanto tu hai detto di te stesso, tutto quello son io.

PEDANTE. Se fussimo al tempo di Pittagora, che diceva che morendo uno l'anima di quello transmigrava in un altro, io direi che costui fusse morto e l'anima sua passata nel tuo corpo; ma questi è vivo. LIMOFORO. O tu sei me o io son te. PSEUDONIMO. Io son quello che fui sempre, fui mai te. LIMOFORO. Quanto voi avete detto di voi, tutto è impossibile.

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