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Aggiornato: 8 giugno 2025


Così che si decide andare in pellegrinaggio a Gerusalemme. Lasciate il viaggio, ser abate, lo consiglia Guiberto, se no l'alba ci coglie qui.

Monsignor « risponde Baccelardo ». Vi reco i decreti del concilio di Roma, e le lettere di Gregorio all'imperatore ed ai magnati della sua corte. Il concilio di Roma! « maravigliato sclama Guiberto che nulla sapeva di quel sinodo, egualmente che nulla se ne conosceva in Germania. « E quando mastro Ildebrando ha congregato codesto concilio? Non sono otto giorni, monsignore « dice Baccelardo. »

Il marchese disse all'imperatore: Sire, corre adagio tra i borghigiani, che non agisce da uomo prudente chi affronta il Taro in furore. Consiglio perciò vostr'altezza di arrestarsi alcun poco qui, fino a che la corrente non si abbassi. Il proverbio dice, l'interrompe il priore Guiberto, Che l'estrema unzione innanzi prenda Chi il Taro nel furor di guadar tenta.

Guiberto gli dice: Ser abate, gli è mestieri che in questo punto, seguíto da cinque uomini, montiate a cavallo, e che senza prender riposo notte vi rechiate sotto le mura di Benevento onde dare a Roberto Guiscardo il foglio che scriveremo. Intendete? notte farete sosta altro che quando e voi ed i cavalli prendiate cibo. Ci raggiungerete a Roma, al castello di Cencio.

Alcune parole dell'abate, che parlava di Guiberto, colpiscono le loro orecchie. L'infelice donna si arresta a mezzo ai baci, taglia nette le parole di lungo amore compresso e le non mai sazie carezze, ed i non mai inebriati sguardi, e sta più attentamente ad ascoltare. Qual dubbio v'era? Il mercato era fatto, il patto di sangue era conchiuso.

Non ci mancava che lui per completare la corona dei santi, dice Guiberto sorridendo.

Allora Alberada si presenta loro, e gittandosi dietro il cappuccio che le celava compiutamente il sembiante, al priore favella: Guiberto, non andate con codesto traditóre, perchè la vostra testa, da recarsi al papa, tra costui e Roberto è stata patteggiata. Fuggite anzi, fuggite senza indugio. Alberada! sclamano ad un tempo il priore e l'abate.

Se l'avessi veduta, Guiberto, alla presa di Palermo! Giuro pel santo sepolcro che saresti dato in dietro della paura. Sicuro che uccise di sua mano meglio di cento Saracini. Qual differenza da quell'altra! sclama fra Guiberto, quasi meditasse le parole del duca Guiscardo, perocchè desso appunto era il cavaliere che precedeva. Alberada non reggeva alla vista del sangue.

Dopo le quali tremende parole Gregorio scomunica altra volta i vescovi di Lamagna ed i consiglieri del re; scomunica Guiberto, Ugo Candido e Guiscardo; intima ai vescovi del concilio di Worms di comparire al suo tribunale, per essere giudicati; dichiara ribelle e scismatico il clero lombardo, ne scomunica quasi tutti i vescovi, egualmente che molti vescovi francesi e molti conti, e presenta al concilio quel celebre Dettato del papa per sanzionarlo.

Proprio così, santo padre! « grida Guiberto » ma non l'incuterai a Roberto il terrore! Sta bene, Ildebrando, sta bene. Tirasti il giavellotto giusto allo scudo che te lo rimander

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