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Aggiornato: 29 maggio 2025
«Alla domenica c'è sempre speranza di rifarsi lo stomaco con una gamella di brodo e 250 grammi di carne. È sovente una grande disillusione. Più di una volta si è obbligati a sbattere via tutto. Il brodo è grasso con gli occhi dell'olio alla superficie che fanno venir voglia di vomitare, o è magro come l'acqua bollente. Manca sempre di sale. Quello di stamane vale un fico secco.
Ciascuno di noi aveva un largo spazio per ammonticchiarvi la biancheria e i libri, per mettervi il catinetto di zinco, la fiaschetta impagliata, la brocca per bere, la spazzola e la pettinina, la gamella con inciso il nostro numero di matricola e la pagnotta che ci avrebbero portata tepida due volte il giorno. Il sole completava la nostra contentezza.
La prima cosa spiacevole del Castellaccio, fu la distribuzione degli utensili di cucina. Invece della gamella, mi si diede una cosa di legno rotonda, coperta di due dita di muffa, e un pezzaccio di cucchiaio che pareva stato in una cantina umida per degli anni. Me li lavai e me li rilavai senza mai far loro perdere l'odore nauseoso contratto in un ambiente dalle pareti viscide.
Porta in testa una gamella obliqua, sulle 33, a guisa di berretto inglese. Si è legato sul culo le falde rialzate del cappotto per imitare l'antica foggia militare italiana. Buffonescamente insulta i suonatori cadenzando la melopea con lazzi e pernacchi fragorosi. La tempesta di rumori e di grida sveglia gli accampamenti nella Vallatella Sil
Nessuno di noi seppe ingoiare la minestra. Guardai che cosa mi aveva scodellato nella gamella. Vidi una pasta che mi pareva esalasse un non so che di tufaceo e una broda piena di scandellature gialle alla superficie. Tutto assieme mi faceva recere. L'afa del pomeriggio ci rendeva inquieti e ci faceva sentire un bisogno prepotente di uscire all'aria a vedere un po' di cielo.
Gli pareva impossibile, come diceva lui, che un sacerdote, che indossava la veste talare da trentasei anni, questa veste, aggiungeva, «che mi fu compagna e amica nei tempi lieti e tristi», potesse essere diventato il 2557, con la gamella matricolata e con la branda in una camerata comune ch'egli doveva calare e piegare al suono di una campana! Era inutile abbandonarci alle malinconie.
«A me non passa più nulla. Federici mi ha dato un cucchiaio della sua magnesia effervescente. Per una concessione speciale egli può tenersene un vaso e farselo riempire quando è vuoto. Se ne prende una cucchiaiata ogni mattina in due dita d'acqua. Mi ha fatto bene. Ho potuto trangugiare la gamella di pasta senza gli impeti di repulsione. Sento che mi ritornano le forze. Leggo e più rapidamente.
Tutte le camerate furono in piedi. In ciascuna nacque un pandemonio indescrivibile. Le «asse dei pancacci» mi diceva uno di loro incominciarono a volare da una parte e dall'altra. Si urlava, si sgolavano ingiurie e si imprecava contro la giustizia. I reclusi aggiunsero al casaldiavolo il rifiuto della minestra. Nessuno di loro aveva voluto sporgere la gamella. Datela ai maiali! datela!
Prima ci facevano scopare la camerata e lavare la gamella dai galeotti. Adesso ci si è detto che la cuccagna è finita. Benissimo. Non marciremo neanche per questo. Il male è che con la minestra condita d'olio la latta rimane unta. Senza acqua calda ci ungiamo come guatteri e ce le laviamo male. Ciascuno di noi si è scelta la giornata di pulizia.
Io e alcuni abitanti della quinta camerata stavamo con la gamella capovolta, sul mastello dell'acqua sporca, per lasciar colare la pasta dalla brodaglia maculata di scandellature. Entrò il sottocapo Osmiani a scompigliarci. Era l'uomo più serio del personale di custodia. Non sciupava parole. Ci chiamava guardando in terra e tenendo l'indice della sinistra in alto. Presente!
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