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Aggiornato: 11 giugno 2025
Gridò, chiamando i finarini, che dovevano essere in quell'ora appiattati nella macchia delle roveri: ma, o non l'udissero costoro, o ancora non fossero giunti, o la voce loro non vincesse le folate del vento, la povera Nicolosina non ottenne risposta al suo grido.
Per aver traccia dei genovesi, fu mestieri a Galeotto di giungere fino alla Marina, donde si vedevano ormeggiate a poca distanza dal lido le galere nemiche, e sotto a Castelfranco, dove la rocca incominciò a piover sassi e il battifolle di san Fruttuoso a vomitar fuoco sulle prime schiere dei finarini. Il nemico era andato a far testa col
Il certo si è che i finarini perdettero la pazienza, e mentre Genova ne pigliava ansa a tornare su Castelfranco, i maltrattati e disputati sudditi si richiamavano contro il loro marchese e contro il doge di Genova, al tribunale del sacro Romano Impero; che, imitando il giudice famoso della favola esopiana, volle per sè il feudo aleramico e vi mandò commissarii a governarlo in suo nome.
Con questo colpo audace si ricattarono i Finarini della resa di Castelfranco. Gi
E pronto si teneva altresì alla prova dell'armi. Il borgo era munito d'ogni maniera di difese; Castelfranco, scolta avanzata del Finaro, mentendo alle ragioni per cui era stato costrutto, si mostrava preparato a sostener l'urto de' suoi fondatori. Senonchè, i genovesi parevano piuttosto propensi a minacciare, che a muover guerra risoluta e gagliarda. L'ultima ambasceria, quella di messere Ambrogio Senarega, non avea l'aria di recare ai Del Carretto le ultime ragioni della Repubblica; epperò se ne aspettava un'altra, con grande molestia dei finarini, i quali vedevano le loro valide braccia rapite all'utile lavoro dei campi o delle officine, per aspettare un nemico che non veniva mai, e tutti li costringeva a quell'uggioso stato di aspettazione, che non è guerra, nè pace, e non d
Così passò la giornata del 15; i Genovesi lavorando senza posa a rafforzare il battifolle e portando sempre nuovo legname; i Finarini aspettando un assalto da alcune compagnie di fanti, che proteggendo i lavori dei manovali, accennavano di avvicinarsi a Castelfranco.
Furioso lo scontro; accanita la pugna; i Finarini fecero miracoli di valore per una intiera giornata. Quivi si segnalò Paolo Adorno, nipote di Barnaba, combattendo a corpo a corpo con Giovanni di Cuma, che fu balzato d'arcioni e campato a fatica dai suoi serventi e compagni. Vantaggio di quella giornata, in apparenza, nessuno.
Raccontano.... Insomma, io non mi fermerò a pigliar nota di tutto. Metterò in sodo che si pugnò lungamente e valorosamente da ambe le parti; cosa che torna ad onore del buon nome italiano, dappoichè finarini e genovesi, monferrini, lombardi, napoletani e quant'altri combattevano, alleati, o assoldati, nei due campi del Finaro e di Genova, erano tutti figliuoli d'una medesima patria.
Alcuni drappelli di finarini erano usciti dalla porta di San Biagio a foraggiare nella campagna di Pertica; dappoichè, non solamente difettavano le vettovaglie pei combattenti, ma eziandio la paglia e lo strame per quella moltitudine di cavalli che il marchese Galeotto aveva radunati nel Borgo. Messere Antonello da Montefalco guidava egli stesso quella importante fazione.
Ma finalmente, veduti mancare i soccorsi che il marchese Galeotto cercava di raggranellare ne' suoi feudi d'oltre Appennino, e che chiedeva, ora a Torino, ora alla corte di Francia, i finarini si arresero, dopo quasi un anno e mezzo di lotta.
Parola Del Giorno
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