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Che val perche' ti racconciasse il freno Iustiniano, se la sella e` vota? Sanz'esso fora la vergogna meno. Ahi gente che dovresti esser devota, e lasciar seder Cesare in la sella, se bene intendi cio` che Dio ti nota, guarda come esta fiera e` fatta fella per non esser corretta da li sproni, poi che ponesti mano a la predella.
Tutta esta gente che piangendo canta per seguitar la gola oltra misura, in fame e ’n sete qui si rif
PASQUELLA. «Che fa lo mio amor ch'egli non viene? L'amor d'un'altra donna me lo tiene». Meschina a me! GIGLIO. E que! Non faze, donna Pasquella, que á qui sta sperando que gli apriate. PASQUELLA. «Non ti posso servir, signor mio caro». Oimè! GIGLIO. Aze musiga esta male avventurada. Ya non se accuerda que á qui sto. Daré colpo in esta puerta, voto á Dios. Tic, tac, tic, toc. PASQUELLA. Chi è lá?
Giuro a Dios que piú guadagnarite con á mi que con el primo gentil ombre de esta tierra; y, aunque vos paresque cosí male aventurade, io son de los buenos y bien nascidos ydalgos de toda Spagna. PASQUELLA. Un miracolo non ha detto signore o cavaliere! poi che tutti gli spagnuoli che vengon qua si fan signori. E poi mirate che gente! GIGLIO. Pasquella, tomma mia amistade, que buon por á ti!
O mia disaventura, o vita accerba Che esta ingrata, e superba, mai si mova Anci il pensier rinova: più severo: Ma pur, quantonque mai, giunger non spero Non sia ch'io resti ognhor, scoprir mia fede Mia servitute, e l'amor mio senciero Fin qui premiato, aymè, di rea mercede E doppo il pianto doloroso, e fero Qual mostra quanto l'amo, e lei nol crede E le dolenti notti, e i giorni bui Che mi fan dir tapin, chi son chi fui.
Tutta esta gente che piangendo canta per seguitar la gola oltra misura, in fame e ’n sete qui si rif
dinanzi a noi pareva sì verace quivi intagliato in un atto soave, che non sembiava imagine che tace. Giurato si saria ch’el dicesse ‘Ave!’; perché iv’ era imaginata quella ch’ad aprir l’alto amor volse la chiave; e avea in atto impressa esta favella ‘Ecce ancilla Deï’, propriamente come figura in cera si suggella.
E' non mi ricordavo ch'io ho anco a dire una orazione che non la soglio mai lasciare. GIGLIO. Que trepparie son este? que corona? que orazion es esta? PASQUELLA. Che orazione? vuoi ch'io te la insegni? Sai? È buona a dire. «Fantasima, fantasima, che dí e notte vai, se a coda ritta ci venisti, a coda ritta te n'andrai.
Anzi, l'ha trovato due volte in casa; ed hagli fatto mille carezze, presolo per la mano, toccato sotto 'l mento, come se fusse suo figliuolo. E dice che gli par che s'assomigli a una figliuola di Virginio Bellenzini. GIGLIO. Ah reniego del putto, vieio puerco, vellacco! Ya, ya. Sé io lo que quiere. PASQUELLA. Uh! Tu m'hai tenuta troppo; me ne voglio ire. GIGLIO. Mira que verrò, á esta nocce.
Ben m’accorsi ch’elli era da ciel messo, e volsimi al maestro; e quei fé segno ch’i’ stessi queto ed inchinassi ad esso. Ahi quanto mi parea pien di disdegno! Venne a la porta e con una verghetta l’aperse, che non v’ebbe alcun ritegno. «O cacciati del ciel, gente dispetta», cominciò elli in su l’orribil soglia, «ond’ esta oltracotanza in voi s’alletta?
Parola Del Giorno
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