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Aggiornato: 5 giugno 2025
Agli occhi degli indifferenti, Ermanno non aveva nulla di particolarmente interessante: era un giovane dovizioso, di buona nascita, molto intelligente, ma incerto ancora della via da seguire, e forse per ciò stesso dall'aria un poco eccentrica.
Da ambe le parti, l'equivoco fu delizioso; ma durò poco. Al completo abbandono dell'essere suo, Ermanno si veniva accorgendo che non era risposto con eguale effusione; che quella donna stretta al suo fianco era molto lontana da lui, più lontana che se migliaia di miglia li separassero... Come da un orlo indifeso, egli scorgeva un abisso spaventevole; ma la stessa enormit
Giulio di Verdara ed Ermanno Raeli, intendendosi nel fondo, soffrivano la loro diversit
Tutto questo complesso di desiderii e di paure lo mantenevano in uno stato d'irresolutezza che era per la signorina di Charmory una nuova e meno sperata tregua. Più d'una volta, dopo quella spiegazione, ella era stata sul punto di scrivere tutto ad Ermanno, per non più mantenerlo colpevolmente in una lusinga fatale: tutte le volte non era riuscita a concretare le sue idee in una forma possibile. Ogni volta che vedeva Rosalia di Verdara, faceva il proposito di ottenere da lei che gli rivelasse tutto quel che sapeva; ma, dopo che Ermanno le si era confidato, non poteva fermarsi all'idea di fargli apprendere da un'altra ciò che toccava a lei stessa di rivelargli. E nei loro incontri, che adesso erano più frequenti di prima, nelle loro conversazioni che erano scambii di idee sempre più intimi, i silenzii avevano per lei la terribilit
Tacque ad un tratto, per paura di mentire, di ricorrere, come aveva fatto con la contessa, a pretesti che avrebbero detto il contrario di ciò che ella voleva significare. E appunto in quelle parole, in quell'accento, Ermanno Raeli sentiva che il pensiero di Massimiliana non era intero, che quella risposta non era completa. Non era possibile che ella avesse ascoltato la sua confessione, con quell'ansia nel respiro, con quella fissit
Come la carrozza fu giunta in vicinanza delle prime case di Pallavicino, moderò la sua corsa e vedendo che il cavallo di Ermanno ricominciava ad imbizzirsi: «Facciamo una cosa!» disse all'amico: «Lascialo montare a me, tu salirai in carrozza.»
Ermanno guardava la signorina di Charmory come le altre sue vicine, ma pareva più presto occupato del suo cavallo, il quale, in vicinanza del legno, scuoteva la testa, recalcitrava, e non si chetava un poco se non quando il cavaliere prendeva ad accarezzarlo con la mano e a parlargli quasi all'orecchio.
Scorgendo dei sintomi di stanchezza nella signora d'Archenval, Rosalia di Verdara l'aveva fatta subito risalire in carrozza per raggiungere i due giovani lontani. Una sorda gelosia le era nata in cuore nel seguire le due figure di Massimiliana e di Ermanno procedenti l'uno a fianco dell'altra. Che cosa potevano dirsi?
Sfoggiando tutte le risorse del suo spirito, ella faceva uno sforzo dentro di sè perchè nessuno si accorgesse dell'agitazione dalla quale si sentiva dominata. Dopo una lunga e vana attesa, ella si vedeva finalmente Ermanno d'accanto; ma in condizioni tali che il porre ad effetto il proprio disegno non era possibile.
Un calcolo, da canto suo, la contessa Rosalia aveva finito anche lei per credere la confessione dell'amica. Fino a quando i rapporti dei due giovani non si erano mutati, ella non aveva fatta un'accusa a Massimiliana di nascondere ancora il suo secreto ad Ermanno, aveva creduto che la confessione sarebbe bastata a dissipare ogni speranza di felicit
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